L’altra faccia. Ismael cammina di nuovo. Con la speranza

Ismael ha tre anni ed è affetto dalla nascita da disabilità motoria cerebrale. Quando è arrivato al servizio di assistenza sociale aperto dal Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere), in collaborazione con la Caritas, nell’Estremo Nord del Camerun, sapeva solo gattonare. Dopo un mese e mezzo, grazie alla riabilitazione e all’ausilio dei tutori, ha iniziato piano piano a camminare. È uno dei miracoli ancora possibili in una terra martoriata da anni dagli attacchi del gruppo terroristico Boko Haram. Una terra dove tre milioni di persone vivono, o sopravvivono, in una situazione di insicurezza alimentare; dove tre persone su cinque sono bambini. Di fronte a questa emergenza il presidente del Camerun, Paul Biya, ha inviato due delegati a valutare la situazione delle tre capitali regionali più colpite: Garoua, Maroua e Ngaoundéré, per poter poi approntare delle misure di contenimento della crisi. Probabilmente perché quest’anno in Camerun sono previste le elezioni. A smentire il presidente nigeriano Muhammad Buhari, che nel discorso di Capodanno aveva detto che i Boko Haram erano stati sconfitti, già il 3 gennaio un kamikaze si è fatto esplodere in una moschea nello stato del Borno, uccidendo una decina di persone. Poi altri attacchi. L’insicurezza coinvolge anche le regioni al confine con il Camerun – Logone-et-Chari, Mayo-Sava e Mayo-Tsanaga -, che ospitano campi di sfollati dalla Nigeria. Lì i terroristi compiono spesso rappresaglie. «Lo stato di insicurezza – spiega fratel Fabio Mussi, missionario laico del Pime e coordinatore della Caritas di Yagoua, rimasto nel nord del Paese – è ormai talmente “stabile” che qui non sorprende più nessuno. Gli attacchi ai villaggi sono diventati il ritornello con il quale anche i nostri operatori sul terreno devono fare i conti continuamente». A queste latitudini, con una popolazione a maggioranza musulmana, e dove la priorità è mangiare almeno un pasto ogni giorno, il Natale scorso non è stato particolarmente sentito. Come del resto ogni festività, sia religiosa che civile. «Solo sei bambini, di famiglie cristiane – ammette sconsolato fratel Mussi -, sapevano che ricordava la nascita di Gesù». Ma la speranza resiste. E un segno di quanto sia viva è l’aumento del 15% per l’anno scolastico 2017-2018, delle richieste di iscrizioni nelle scuole gestite dalla Diocesi di Yagoua. Tanto che le aule non bastano più. «L’istruzione è un modo concreto di togliere i ragazzi dalla strada, di evitarne l’arruolamento nei gruppi armati e di frenare l’emigrazione», conclude fratel Mussi.

© 2018  – Romina Gobbo

pubblicato su Avvenire – Primo Piano – domenica 14 gennaio 2018 – pag. 4

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