“La testimonianza di una donna deve valere quanto quella di un uomo, non la metà”. L’avvocata pakistana Asma Jahangir per quella protesta perpetrata nel 1983 fu picchiata e arrestata assieme a molte altre donne che facevano parte dell’Associazione degli avvocati delle donne di Lahore Punjab. Ma Asma era “abituata”, perché la sua esplicita condanna delle leggi sulla blasfemia del Pakistan, le era costata qualche minaccia di morte. Difendeva i diritti umani Asma, presa di mira da potenti detrattori che la accusavano di distruggere il tradizionale tessuto politico e sociale. Ma aveva anche molti sostenitori, che ora piangono la sua morte, avvenuta, qualche giorno fa, l’11 febbraio, per arresto cardiaco. Con la sorella, Hina Jilani, aveva fondato la Legal Aid Cell dell’AGHS, per l’assistenza legale alle persone povere, quelle che nessuno ha interesse a difendere. Nel 1987 aveva co-fondato la Commissione per i diritti umani del Pakistan, diventandone in seguito presidente, fino al 2011.
Nel 2005 aveva organizzato a Lahore una maratona di genere mista, per diffondere il problema della violenza contro le donne, ma i partecipanti furono attaccati dagli islamici conservatori con la complicità della polizia. Aveva anche contribuito a creare un gruppo di pressione, il Forum di azione femminile (WAF), impegnato contro gli aspetti discriminatori della legislazione pakistana, in particolare le ordinanze Hudood, introdotte nel 1979 durante il regime del generale Mohammad Zia-ul-Hak, che costringono le donne a provare la propria innocenza tanto in caso di adulterio che di stupro. Ci mancherà, ma il suo pensiero resta indelebile: «Non puoi avere diritti umani in una società se non hai i diritti delle donne».
Questo per chi continua a dire che le donne nei Paesi islamici sono sottomesse. Anche se magari non fanno tanto rumore, ci sono molte associazioni femminili che lavorano per i diritti – non solo delle donne, ma di tutti – e che sono impegnate a far progredire la società.
© 2018 – Romina Gobbo – Facebook 15 febbraio 2018