«Ogni morte porta sempre con sé una grande sofferenza. In chi resta, c’è uno scombussolamento totale, che è normale, fisiologico. Il problema è che la nostra società non lo riconosce». A spiegarlo è la psicoterapeuta Viviana Casarotto, che coordina l’ambito “lutto” all’interno della Caritas vicentina. Si basano su questa considerazione i nove gruppi di auto mutuo aiuto attivi in diocesi a Vicenza, nei quali chi soffre per la perdita di un proprio caro può trovare il sostegno di facilitatori preparati. Spesso questi facilitatori sono persone che hanno vissuto la stessa esperienza e per ritrovare un senso alla propria vita si sono rivolti alla Caritas. «Manifestano, così, in maniera concreta, il profondo senso di gratitudine nei confronti di chi li ha aiutati a rielaborare la loro sofferenza. Il loro mettersi a disposizione è un bene prezioso», continua Casarotto, che in queste settimane è impegnata a seguire la trentina di partecipanti al percorso intitolato “Lutto, solitudine ed esperienza del limite”. Dove le parole chiave sono presenza e ascolto. «Bisogna lasciare che le persone esprimano le proprie emozioni, siano rabbia, tristezza, senso di colpa… L’intervento consolatorio non serve, perché esso può solo dare un senzo di vicinanza immediata. Non si devono offrire soluzioni, perché anche se la morte di un caro ti cambia la vita – sarà questo il tema dell’incontro annuale fra volontari che operano nell’ambito lutto che abbiamo organizzato per la giornata odierna -, ogni caso è a sé. Impariamo allora ad ascoltare, ad assecondare la persona. Può voler condividere ricordi, può voler piangere. Lasciamo fare. Se si accoglie e non si giudica, le persone si aprono, e può essere l’inizio della risalita». Ed è proprio durante quella risalita che può nascere il desiderio di restituzione. «Chi ha elaborato il lutto, diventa una risorsa per sé e per gli altri», conclude.
© 2018 – Romina Gobbo
pubblicato su Avvenire – Catholica – sabato 10 marzo 2018 – pag. 12