La minacciata guerra mondiale ha scatenato l’analista che è in ognuno di noi. Le opinioni si sprecano. Ovunque spuntano leader mancati; quelli che se avessero avuto le leve del potere, la guerra si sarebbe risolta subito. Potevo io esimermi? Ma anche no.
Purtroppo, fra i tanti nemici, la Siria ha pure l’informazione. Già di per sé difficile, come sempre succede quando si è in aree di guerra o comunque di crisi. E la sequenza di cambiamenti sul piano politico non ha certo agevolato. In un primo momento quando era in atto la protesta pacifica, i giornalisti potevano ancora recarsi in Siria. Io sono entrata a giugno 2013 con quello che all’epoca era l’Esercito Libero Siriano. All’epoca Assad bombardava, perché era l’unico ad avere l’aviazione. Mentre pranzavo, sono cadute sette bombe. Ricordo perfettamente. Diventavo sempre più pallida e il mio appetito scemava. Ma gli arabi ci tengono che l’ospite sia soddisfatto. Non potei alzarmi fino ad aver ripulito il piatto. Di questo sono testimone diretta. Come della fuga per raggiungere il confine con la Turchia prima del tramonto. Di quanto è successo dopo, no. Ad agosto 2013 è arrivata la prima notizia dell’uso di armi chimiche da parte del regime. Sconsigliai di andare ad una collega incerta se seguire gli ordini della testata. Le ho portato fortuna: ha fatto carriera in un programma televisivo nazionale. Obama era intenzionato a entrare in Siria, perché Assad doveva essere deposto (c’era una registrazione delle sue parole, ora sembra scomparsa). L’invasione non c’è stata. Ma la possibilità di dare informazioni veritiere per i giornalisti diventava sempre più difficile. Ci furono i rapimenti, il più lungo, quello di Quirico. Poi non fu più permesso di entrare ai giornalisti provenienti dai paesi alleati degli americani. Intanto, lo scacchiere cambiava continuamente. L’informazione internazionale ha subito una grande polarizzazione: o pro regime o pro ribelli. Anche se ormai fra di essi della popolazione locale rimaneva poco o niente. Perché erano comparsi i veri gruppi terroristi, spauracchio di tutti all’apparenza, ma chiaramente spalleggiati e appoggiati dalle alleanze che fanno capo alle due potenze regionali che da decenni vogliono la supremazia nell’area: Iran e Arabia Saudita. Intanto chi forniva notizie erano le testate arabe, al-Jazeera in primis. Prima tutta pro Assad, poi pro oppositori. A quel punto i giornalisti internazionali hanno cominciato a prendere come oro colato l’Osservatorio siriano per i diritti umani, dal 2006 basato a Londra. Servivano dati, perché l’Onu non era più in grado di contare i morti, e l’Osservatorio li forniva su un piatto d’argento. Ma sulla sua credibilità restano molti interrogativi. Altra fonte: i social media. Cittadini siriani ma anche organizzazioni internazionali hanno postato notizie, video, appelli strazianti…a volte verificabili, altre volte no. Quindi una pletora di messaggi contrastanti, perché è ovvio che quando sei coinvolto, quando muoiono i tuoi cari, quella è la tua verità. Il resto è storia di oggi. الله يرحمنا
© 2018 – Romina Gobbo – Facebook 11 aprile 2018