Sono arrivati da strade diverse, appartengono a congregazioni diverse, hanno età diverse, parlano molte lingue: oltre all’italiano, inglese, francese, spagnolo, portoghese, cantonese, bambara, swahili. Hanno lavorato in svariati ambiti: dal giornalismo alla rabdomanzia, dall’insegnamento alla medicina, dalla psicologia alla panetteria, all’assistenza sociale.
Oggi la suora argentina Raquel Soria e padre Gianni Treglia, entrambi Missionari della Consolata, padre Vittorio Bonfanti dei Padri Bianchi e suor Giovanna Minardi, Missionaria dell’Immacolata, vivono assieme a Modica (Ragusa), nella casa attigua al santuario della Madonna delle Grazie, messa a disposizione dalla diocesi di Noto, di cui Modica fa parte. Han- no in comune l’entusiasmo per ogni nuova sfida, l’umiltà di cominciare ascoltando, la tenacia di chi non si arrende mai: «Suora, lei è proprio una testona», diceva il direttore del carcere alla periferia di Nairobi, in Kenya, dove suor Raquel per quindici anni ha portato conforto ai detenuti. A unirli è anche un po’ di incoscienza: «Si rende conto, padre, che se andate troppo in giro a curiosare, qualcuno prima o poi potrebbe spararvi?», si è sentito dire in missione padre Gianni. In comune hanno soprattutto l’amore per gli ultimi.
MISSIONE SICILIA, LA SFIDA
Ecco perché quando è stato loro proposto di fondare la prima comunità intercongregazionale mista in Europa (ovvero di uomini e donne consacrati, di diverse ordini religiosi) hanno aderito a quello che è un segno dei tempi. Il loro servizio è in una delle frontiere esistenziali e geografiche di oggi, dove arriva chi lascia il proprio Paese.«Siamo stati per una vita in Africa, in America Latina e in Asia. Oggi è la missione che viene da noi», sintetizzano i quattro religiosi. L’idea affonda le radici nel Forum di Trevi (Perugia) del febbraio 2013, organizzato dalla Cimi, sodalizio che riunisce gli Istituti missionari italiani, che in quell’occasione si sono interrogati sulle sfide di oggi. E hanno deciso di avviare una presenza in Europa fra i migranti, lavorando per la prima volta insieme. Scartata Lampedusa, perché è solo una zona di transito, quale luogo poteva essere più appropriato della Sicilia, da sempre terra di accoglienza? Una serie di colloqui con chi già opera lì con i migranti, oltre al forte interesse dimostrato dal direttore della Caritas diocesana, Maurilio Assenza, e alla disponibilità del vescovo, monsignor Antonio Staglianò, hanno portato “i nostri” a Modica, città vicina a Pozzallo, secondo porto in Italia per numero di sbarchi: ventimila persone solo nel 2016. Il 17 marzo 2016 è nata ufficialmente la comunità. «Il rapporto con i nostri rispettivi Istituti non viene meno, le nostre identità ci sono ben chiare, ma noi qui rappresentiamo tutta la Cimi. Il nostro punto di forza è la preghiera comunitaria», dice suor Giovanna. «Al mattino recitiamo assieme le Lodi, alla sera i Vespri. Una volta alla settimana l’appuntamento è con la lectio divina e una volta al mese c’è una giornata intera di ritiro». E poiché, come dice papa Francesco, «El camino se hace al andar» («Il cammino si apre camminando»), giorno per giorno i religiosi tentano di dare risposte agli stranieri presenti

Scuola di italiano
da anni (in prevalenza magrebini), come ai nuovi arrivati (Europa dell’est e Africa subsahariana), avvalendosi del prezioso bagaglio che hanno alle spalle. Suor Raquel, padre Gianni e padre Vittorio vengono da una lunga permanenza in Africa: la prima in Kenya, il secondo in Tanzania, il terzo in Mali. Suor Giovanna, invece, ha vissuto diciassette anni a Hong Kong e quattro in Cina, a Canton. «Quando avvicini un ragazzo spaventato, il fatto che tu gli dica qualche parola nella sua lingua cambia il rapporto», dice la religiosa. «Io penso che prima di tutto abbiano bisogno di trovare qualcuno con cui potersi esprimere liberamente. Abbiamo aperto il centro Ite (Incontro, together, ensemble) rivolto ai minori non accompagnati perché, quando escono dall’hotspot di Pozzallo, non sanno dove andare, e cerchiamo di favorire il loro incontro con i ragazzi locali». «Qui la nostra esperienza all’estero ha un suo valore», aggiunge padre Gianni. «Questi ragazzi percepiscono assenza di pregiudizi e apertura, e allora si lasciano avvicinare con più fiducia». Suor Raquel è “tornata in carcere” a Noto. «Attenzione particolare ai migranti sì, ma sono a disposizione di tutti», anche perché, contrariamente all’immaginario collettivo, dei 215 detenuti, la maggioranza sono italiani e sono tutti maschi. «Credo che il Signore mi abbia affidato i maschi per far scoprire loro che Dio è tenerezza e che ha anche volto di madre». Le necessità sono tante: il lavoro, l’abitazione (che se sei di colore non ti affittano), la lingua italiana (la comunità ha aperto una scuola di alfabetizzazione per adulti e doposcuola per bambini), il problema di riscuotere il salario quando sei clandestino. «Questa è zona di campagna, grandi produzioni di ortaggi, serre infinite, caporalato, lavoratori pressoché invisibili e grande difficoltà di capire chi siano gli sfruttati e chi gli sfruttatori», dice padre Gianni. Per questo a Pachino i missionari operano nel Presidio Caritas, luogo di ascolto e incontro. Ma la Cina che c’azzecca? «Oggi come allora mi sono messa in gioco. In Cina i missionari non sono accettati, io ero là come laica volontaria per lavorare con i disabili. Ho imparato a stare all’erta, a usare molta prudenza. Questo mi ha interrogato. Per noi Missionarie dell’Immacolata, la missione è annunciare il Vangelo con le parole e con la vita. Lì le parole non le puoi usare. Rendi testimonianza con le tue azioni. Stessa cosa stiamo facendo qui. La vita parla. Poi tocca al Signore gettare un seme nel cuore delle persone», conclude suor Giovanna.
© 2018 – Testo di Romina Gobbo – Foto di Giusy Pelleriti
pubblicato su Credere – domenica 15 aprile 2018 – pagg. 20, 21, 22, 23