Possiamo ancora dirci giornalisti? – Can we still tell journalists?

Ho scritto ieri della collega Marinova perché mi ha veramente impressionato la brutalità del suo assassinio. Se davvero si tratta di un omicidio politico, credo che si sia veramente toccato il fondo. Usare lo stupro è l’oltraggio alla donna per eccellenza. Mi viene in mente Franca Rame. È una vigliaccata da “uomini” piccoli piccoli. Ma al di là dell’orribile fatto di cronaca, bisogna che cominciamo seriamente a riflettere sui bavagli alla stampa, perché significa bavaglio alla democrazia. Quella parola di cui tanto ci ammantiamo da volerla esportare all’estero, con i risultati di cui tutti sappiamo. Il problema è che non funziona più neanche a casa nostra. La stampa è sotto attacco da molto tempo. C’è davvero qualcuno che ancora crede che le interviste fatte ai politici siano imparziali? C’è davvero chi ancora non sa che le domande sono concordate con gli uffici stampa? Perché a nessun potere – neppure quello più democratico – piacciono le domande scomode. Possiamo continuare a parlare di schiena dritta quando mettiamo un microfono sotto il naso di un politico e lasciamo che dica quello che vuole senza controbattere? Oggi addirittura lasciamo che insulti, usi parole di razzismo. Noi che abbiamo la Carta di Roma contro l’hate speech. Ma poi basta mettere un virgolettato, in fondo l’ha detto lui. La censura viene da molto lontano. Ma con questo governo stiamo raggiungendo l’apice, vogliono annientare una professione, non solo per la discussione sull’abolizione dell’Ordine, ma perché non si accetta più il contradditorio, la critica; chi dice qualcosa di diverso da me, va zittito, in tutti i modi possibili. In verità, imbavagliare la stampa è sport nazionale. Qualche settimana fa ad una collega è stato impedito di accedere ad un convegno nazionale di una grossa banca, perché la collega in questione non è solita assogettarsi ai comunicati stampa, ma ama cercarsi le sue fonti. Chiaro il messaggio? Significa che alla collega è stato impedito di fare la giornalista. E questo è un Paese dove i giornalisti – sempre più spesso – necessitano della scorta. Questi sono i mali di oggi, quelli che affliggono la professione, che ho sempre ritenuto la più bella del mondo. Anche noi giornalisti abbiamo colpe. Abbiamo la colpa di stimarci poco gli uni con gli altri, anzi, spesso ci sono gelosie. Spesso le redazioni sono dei covi di vipere. Abbiamo la colpa di aver lasciato che il livello deontologico si abbassasse sempre di più. Crescevano le carte, aumentavano convegni e dibattiti, ma diminuiva il “sacro fuoco”. Forse è quello che va ritrovato, con coraggio e determinazione. Ora o mai più perché la situazione è grave davvero.

© 2018 Romina Gobbo – Facebook 9 ottobre 2018

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