«Le lacrime delle madri che piangono il loro ennesimo bambino morto, ci sono entrate dentro. Oggi questo per noi non è più un progetto, è diventata la nostra vita». Così don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, spiega l’impegno per il programma quinquennale “Prima le mamme e i bambini: 1.000 di questi giorni”, raccontato in tutte le sue sfumature ieri all’Annual Meeting della Ong padovana, di cui anche “Avvenire” è media partner, che si è tenuto al Teatro Manzoni di Bologna (1.500 partecipanti), con un’appendice in piazza Nettuno, dove è stata scoperta l’installazione di arte partecipativa realizzata con le foto delle migliaia di persone che hanno aderito alla mobilitazione social #ioconlafrica.
Sono intervenuti l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, ospiti istituzionali, volontari, ci sono stati il collegamento con il giovane medico Damiano Cantone, sopravvissuto a un incidente aereo in Sud Sudan, e numerosi filmati. Tutto per affermare: “Prima le mamme e i bambini”. L’obiettivo è ambizioso: garantire in cinque anni un parto sicuro a 320mila mamme, e monitorare e curare 60mila bambini malnutriti, in 10 ospedali in 7 paesi africani (Angola, Etiopia, Mozambico, Sud Sudan, Tanzania, Sierra Leone, Uganda) su 8, dove il Cuamm lavora. «Dopo due anni, registriamo già 117.541 parti assistiti, 526.650 visite pre e post natali, 4.794 bambini malnutriti gravi trattati. Con il Meeting Annuale noi diamo conto della nostra attività – spiega don Dante -, perché crediamo fermamente in una cooperazione sanitaria internazionale fatta di iniziative concrete e perché la nostra attività sta in piedi al 70% con contributi che vengono dai nostri sostenitori: gente comune, istituzioni, fondazioni. E quindi dare riscontro del nostro operato è molto importante». operato che dura da oltre 65 anni, e che può essere riassunto con uno slogan oggi molto di moda, «aiutiamoli davvero a casa loro». «“Mentre prima sognavo l’Europa, adesso sento che il mio posto è qui”. Questo mi ha detto Amina, una giovane sud sudanese che si è laureata lo scorso anno ed è diventata ostetrica, in un Paese dove c’è una levatrice ogni 20mila mamme che partoriscono – continua don Dante -. E come lei molti altri giovani che ci chiedono di aiutarli a costruire il loro futuro dove sono nati. Spesso sono obbligati a scappare da guerre, fame, mancanza di scuole. Ma quando offri opportunità di sviluppo, loro diventano orgogliosi di aiutare i loro Paesi. Per questo la formazione è fondamentale. Abbiamo scuole per infermieri, e in Mozambico una facoltà di medicina, sostenuta dalla Conferenza episcopale italiana, dalla quale ogni anno escono dai 18 ai 22 nuovi medici».
Che siano volontari in partenza (dal 1950 oltre 1.600 fra medici, paramedici e tecnici), o gruppi di appoggio in Italia, il popolo del Cuamm è in continuo aumento. «Tantissimi si avvicinano a noi. Quasi 300 studenti di medicina sono partiti per trascorrere un mese nei nostri ospedali africani; molti specializzandi scelgono di lavorare là per sei mesi. Io credo che il fascino stia nella scelta di campo che abbiamo fatto, ovvero occuparci dell’ultimo miglio: nelle aree dove non c’è nulla, cerchiamo di garantire un minimo di risposta sanitaria. L’altro caposaldo è l’istruzione rispetto alla quale collaboriamo con le congregazioni missionarie. E poi piace il nostro approccio, che è quel “con l’Africa”, non “per”. Significa condivisione, solidarietà profonda, necessità di costruire un futuro insieme, ciascuno facendo la propria parte: noi, gli africani, ma anche la Chiesa, la politica, le istituzioni».
© 2018 Testo e foto di Romina Gobbo
pubblicato su Avvenire – Interno – domenica 11 novembre 2018 – pag. 11