L’assassinio di Maria Grazia Cutuli ci ricorda che le ferite dell’Afghanistan ormai sono diventate piaghe – The murder of Maria Grazia Cutuli reminds us that the wounds of Afghanistan have now become sores

Il 19 novembre 2001, in Afghanistan, sulla strada che da Jalalabad porta a Kabul, veniva assassinata Maria Grazia Cutuli, inviata del Corriere della Sera. Assieme a lei furono uccisi anche l’inviato di “El Mundo”, Julio Fuentes, due corrispondenti dell’agenzia Reuters, l’australiano Harry Burton e l’afghano Azizullah Haidari. Ricordare questo fatto non è solo un modo per ricordare degli ottimi colleghi morti nello svolgimento del loro lavoro, significa anche sottolineare come il nostro voler esportare democrazia, sia solo una presunzione. Così come il nostro voler “salvare le donne afghane”, che stanno peggio di prima. Quell’invasione non solo è stata un fallimento, con migliaia di morti militari e civili, internazionali ed afghani, ma è stata anche la causa di una rabbia che si sta sempre più diffondendo. Una sorta di polipo, i cui tentacoli sono diventati le varie jihad che hanno prima avvelenato il mondo arabo e che oggi ci troviamo in casa.

In questi giorni le donne saudite protestano contro l’obbligo di indossare l’abaya, ovvero il velo integrale. Ci ricordano che sono sempre le donne a soffrire maggiormente, nelle guerre, per gli stupri, perché hanno perso i propri cari, o in terre dove il patriarcato a tutt’oggi non può essere messo in discussione.

© 2018 Romina Gobbo – Facebook 19 novembre 2018

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