La violenza psicologica non va sottovalutata – Psychological violence should not be underestimated

Sarò impopolare, ma a me la retorica del 25 novembre non convince. La violenza è qualcosa di maledettamente serio; non bastano slogan, citazioni trite e ritrite, scarpe rosse, foto con i lividi e manifestazioni. E’ un problema culturale? Probabilmente sì, ma trasversale, perché la si ritrova in tutte le culture. E’ contrastabile? La si può contenere, ma non eliminare. Perché è insita nella natura umana. E riguarda tutti. Allora che fare? Ricominciare da noi stessi, dal volersi bene.

Vi vorrei parlare di una violenza particolare, quella più subdola, perché non si vede, perché non è quasi mai provabile, è quella psicologica. Colpisce uomini e donne indistintamente, perché uomini e donne sanno essere indistintamente perfidi. La violenza fisica è più spesso appannaggio degli uomini sulle donne, non fosse altro per una questione strutturale. Quella psicologica non risparmia nessuno. Di solito le donne se la giocano con il partner al momento della separazione, quando usano i figli come oggetto di ricatto. I maschi invece prevaricano tra le mura di casa, e spesso anche al lavoro, dove di solito le donne si trovano in situazioni di maggior precariato. La violenza psicologica è terribile, perché ti fa anche dubitare di te stessa/o, arrivi a chiederti se in effetti non abbia ragione chi ti sta vessando, fino a pensare di meritartelo per chissà quale “sbaglio”. Denunciare? Chi? Che cosa? Di solito il prevaticatore è piuttosto furbo, ti raggira quando sei sola. Difficile che qualcuno ti creda. I lividi sul corpo si vedono, quelli dell’anima sono soltanto tuoi. Che cosa puoi portare davanti ad un ispettore di polizia se non hai un testimone a tuo favore? E’ la tua parola contro quella del vessatore, di solito un bravissimo manipolatore, a volte borderline, tanto che chi lo conosce non può che parlarne bene. Nell’immaginario collettivo sei tu che ti sei fatta un film, sei diventata ossessiva. Ti guardi allo specchio e non ti riconosci, pensavi di essere forte e guarda come sei ridotta, forse hanno ragione loro. Da questo stato di prostrazione non è facile risalire. Ma il manipolatore/manipolatrice in fondo è un soggetto debole, la catena si può spezzare; significa mettere fra te e lui/lei una distanza mentale – «quello che dice non mi tocca» -, e anche fisica, cambiando casa o lavoro. Andarsene non è una sconfitta, anzi, spesso è una vittoria. E questa non è retorica, è vita.

© 2018 Romina Gobbo – Facebook 25 novembre 2018

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