C’era una volta Mohammed, pescatore tunisino che, quando tornava in porto, prima di andare a vendere i pesci al mercato, ne teneva alcuni da parte per darli ai bambini di strada. Poi ha commesso un omicidio. «Ciò dimostra che il reato a volte è una rottura improvvisa di vite anche molto nobili», spiega fratel Ignazio De Francesco, islamologo, monaco della comunità della Piccola Famiglia dell’Annunziata di Casaglia di Montesole (Bologna), fondata da don Giuseppe Dossetti. Fratel Ignazio ha incontrato Mohammed nel carcere della Dozza a Bologna, dove si recava per l’assistenza spirituale ai detenuti, la maggior parte musulmani. «Non posso dimenticare i suoi occhi, prima abituati all’orizzonte, poi costretti dentro un luogo dove l’unico orizzonte è il muro di una cella. Lui, analfabeta, ha iniziato a studiare con i “capelli già grigi”, appassionandosi di tutto. Seppur profondamente musulmano, leggeva la Bibbia in italiano e la traduceva in arabo. Nello studio dei testi sacri, Mohammed cercava anche il mistero della propria vita. Con lui ho sperimentato davvero una grandissima amicizia. Questa è la potenza degli incontri umani». L’esperienza in carcere è diventata il progetto Dustur (con la trasposizione nel docufilm di Marco Santarelli), in arabo Costituzioni, proprio perché nasceva con l’intento di utilizzare le Costituzioni come ponte fra le culture, e con un obiettivo grande: «Far scrivere le leggi a chi le ha violate, attraverso un iter – proposte, discussioni, emendamenti – che ricalca quello parlamentare. Inevitabilmente, qualcuno dei ragazzi sottolineava che quanto è scritto viene sempre disatteso. Ma – spiegavo io – la Costituzione è un libro dei sogni, cioè è quello che un paese sogna per sé stesso, per i suoi cittadini. Perciò è importante che le cose buone siano scritte per poter dire: così non si fa. Alla fine, hanno redatto la loro Costituzione, ed è stato meraviglioso vedere come proprio le persone che hanno infranto le leggi si portano dentro l’idea di qual è una legge buona».
I VOLTI DELL’AMORE
Quando parla di Leila, Ignazio si illumina. Una giovane tunisina, orfana di padre dalla nascita, in carcere per spaccio, divisa a metà fra l’emancipazione − «è arrivata in Italia da sola su un barcone, senza un tutore, un parente, da ribelle» −, ma con aspetti che dicono di una cultura molto tradizionale, tanto da rifiutare la proposta di matrimonio di un giovane perché non intenzionato a farsi musulmano. Il rapporto fra Ignazio e Leila si sviluppa in un parlatorio una volta a settimana, con la fede come elemento dominante. Non è sempre facile: a volte lei si lascia andare a qualche confidenza, poi si tira indietro, o si inalbera: «Mi hai ingannata, non sei musulmano. Perché mi parli in arabo? Perché mi parli del Corano?». Spesso ci sono solo silenzi. Ignazio si dà da fare per trovarle una famiglia che l’accolga, una volta scontata la pena. È tutto pronto. Leila è libera, ma la sua libertà è anche quella di rifiutare l’offerta dell’amico con la tonaca e di prendere un’altra strada. Di lei restano un libro e uno spettacolo teatrale.
IL LASCITO DI DON DOSSETTI
Partire dalle leggi: non poteva che essere questa la strada per un “figlio” di Dossetti. «Don Giuseppe era uomo della Resistenza, del Concilio Vaticano II e della Costituzione. Quando lo conobbi, mi colpì subito il “corto circuito” fra dimensione spirituale e rapporto con la storia. Ho sessant’anni, ho vissuto l’orrore del ’77. Da giovane cercavo un luogo dove poter sfuggire alle brutture della vita. Invece, incontrandolo, mi sono reso conto che non ci si può totalmente estraniare. Lui era un uomo profondamente spirituale, ma palpitava per la vita del mondo: era anche un politico, un giurista. Questa sua vibrazione per le vicende umane mi ha convertito e ributtato nella storia. E qui a Montesole tutto è storia. Don Giuseppe si interessava di India, Cina, Medio Oriente, dei “mondi”. È morto nel ’96, ma credo che sarebbe molto contento di vivere oggi, perché, malgrado tutto, lo scenario e molto più interessante di vent’anni fa, quando l’unico modello era quello occidentale, contrapposto all’Urss».
CONOSCERE L’ISLAM
Fratel Ignazio tanto tempo fa ha lasciato l’impiego come responsabile della comunicazione di una banca torinese e ha abbracciato il monachesimo.Poi studi a Roma da patrologo siriacista e dodici anni tra Siria, Egitto e Palestina. «Ero ad Ain Arik, nei Territori palestinesi occupati, durante l’Intifada del 2000. Mentre noi in chiesa leggevamo il libro di Giosuè che narrava degli amorrei nemici di Israele, fuori i soldati israeliani facevano rastrellamenti alla ricerca dei palestinesi. Mi sono detto che avrei dovuto capirne di più della gente che avevo intorno, la cui fede è l’unica cosa che li fa resistere alla disperazione. Ho cominciato a studiare l’islam e quando sono tornato in Italia ho portato questa mia esperienza nella collaborazione con l’Ufficio nazionale per l’Ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana (Unedi) e con la diocesi di Bologna, da cui sono nati vari progetti, come la Summer School che alla fine dell’agosto scorso ha visto riuniti a Firenze per alcuni giorni di studio e confronto una selezione di giovani universitari cristiani e musulmani. A Montesole – dove sorge anche la Scuola per la pace – arrivano gruppi del mondo ecclesiale, studenti palestinesi e israeliani per partecipare a iniziative di riconciliazione, singoli – laici, sacerdoti, religiosi… – in cerca di spiritualità, ma anche poveri che necessitano di un tetto. «Da sempre siamo rifugio per viandanti, per chi per qualche notte non sa dove andare. Siamo anche stati derubati, perché il povero non è ne- cessariamente buono. Il povero ha grandi ferite, ha subito ingiustizie, ma a volte è capace di commettere atti anche molto gravi. Dobbiamo allora chiudere le porte? No, perché tutto questo fa parte di una relazione vera, altrimenti i poveri diventano figure oleografiche. Abbiamo ospitato anche tossicodipendenti, in accordo con le comunità. E con alcuni di loro siamo stati testimoni di bellissime esperienze di ritorno al Signore».
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L’appello: il Papa venga sulla tomba di Dossetti

La comunità a pranzo

Tomba di don Giuseppe Dossetti
Ci piacerebbe che papa Francesco venisse a visitare la tomba di Dossetti»: con queste parole Giovanni Lenzi, responsabile delle Edizioni Zikkaron – casa editrice nata nel 2016 ad opera della cooperativa Koinonia per iniziativa di alcuni membri della comunità della Piccola Famiglia dell’Annunziata di Casaglia di Montesole (Bologna) –, dà voce alla speranza anche di tutti gli altri fratelli e sorelle: una quindicina di monaci, una cinquantina di monache, una quarantina di famiglie, sparsi nelle varie sedi, italiane ed estere. Siamo sulle colline che circondano Marzabotto, nome diventato tristemente famoso per la strage nazista che si perpetrò fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944. Ma essa non avvenne in paese – come si impara a scuola – bensì proprio su questi crinali. Infatti la dicitura corretta è “Strage tra il Setta e il Reno del 1944”. La natura incontaminata s’intrise del sangue di tante persone, tra cui alcuni religiosi. Ma proprio i sacrifici degli uomini e delle donne di Chiesa finirono nel dimenticatoio. Finché, nel 1980, l’arcivescovo Enrico Manfredini decise di riappropriarsi della memoria, ponendo qui una comunità monastica. Toccò a don Giuseppe Dossetti fare di un luogo di guerra un luogo di pace. E immerso in questa pace ora lui riposa, nel cimitero di Casaglia, insieme a monsignor Luciano Gherardi (studioso dell’eccidio di Montesole) e alle vittime della strage. «Di don Giuseppe mi colpì la sua attenzione per le anime», continua fratel Giovanni. «Per tutti noi era un padre. Come da sua volontà, l’Eucaristia è il centro della nostra vita comunitaria. Preghiamo tantissimo ma questo non significa che siamo avulsi dalla storia, anzi, proprio l’abitare questi luoghi ci rende totalmente immersi in essa». Ecco perché la casa editrice non poteva che chiamarsi Zikkaron, in ebraico «memoria». Una scelta coraggiosa pubblicare libri in tempi in cui le case editrici soffrono. «Crediamo nel valore dei temi che proponiamo, ovvero quelli che stavano a cuore a Dossetti il quale, oltre che presbitero, era stato anche un politico: dalle riflessioni sulla democrazia alla non violenza, dalla povertà della Chiesa fino al suo cammino di avvicinamento agli ebrei. E poi una serie di testi di conoscenza dell’islam grazie al nostro fratello esperto islamologo Ignazio De Francesco».
© 2019 Testo di Romina Gobbo – Foto di Alessandro Tosatto
pubblicato su Credere – domenica 13 gennaio 2019 – pagg. 24, 25, 26, 27, 28