«Mi sono sempre detto tu non sei il vescovo dei Latini soltanto, sei il vescovo di Gesù, e Gesù qui in Siria ha 22 milioni di anime». Bastano queste sue parole per riassumere l’attività di dialogo che il salesiano mons. Armando Bortolaso, vescovo emerito di Aleppo, aveva perseguito in Medio Oriente dal ’48, dove era arrivato poco dopo la costituzione dello Stato di Israele. È mancato all’affetto dei suoi cari, martedì scorso 8 gennaio, in Libano, nella Casa salesiana di El Houssoun, piccolo villaggio a nord di Beirut, dove risiedeva dal 2002, e dove ieri sono stati celebrati i suoi funerali. Nato nel 1926 a Villaganzerla (diocesi e provincia di Vicenza), nel ’43 entrò nella Congregazione Salesiana, successivamente compì gli studi teologici nell’Istituto ecumenico “Tantur” di Gerusalemme e, nella stessa Città Santa, il 5 luglio 1953 venne ordinato sacerdote; celebrò la sua prima messa nella Basilica del Santo Sepolcro. Dal 1959 al 1965 fu direttore e responsabile della comunità salesiana e della scuola professionale “Georges Salem” di Aleppo. Il 18 giugno 1992, papa Giovanni Paolo II lo nominò vicario apostolico di Aleppo e, il 4 ottobre successivo, vescovo dei Latini in Siria. Il suo rapporto di amicizia con il Gran Muftì della Siria, Ahmad Badr-Eddin Hassoun, non risentì né del trasferimento in Libano a seguito delle dimissioni da vicario apostolico per raggiunti limiti di età, né della guerra. Molti furono i profughi siriani – anche musulmani – accolti nella Casa di El Houssoun. Nonostante una vita trascorsa in Medio Oriente, mons. Bortolaso tornava spesso a Villaganzerla e lì, nel 2013, festeggiò il sessantesimo di sacerdozio.
Quando lo intervistai per la prima volta, era l’ottobre 2012, la guerra in Siria era agli esordi, ma lui aveva già ben chiaro il quadro che si sarebbe andato delineando. «Si potrebbe dire – mi spiegò – che il Medio Oriente è infestato da piromani, che agiscono per procura. È evidente che “l’incendio” appiccato in Siria sta assumendo proporzioni spaventose, e sta sfuggendo di mano a chi l’ha appiccato. La Siria è divenuta l’epicentro di un terremoto che può causare un finimondo, perché gli interessi sono enormi». Sottolineava “interessi” per contrastare quanti sostenevano che la causa fosse il conflitto interno all’Islam, tra sunniti e sciiti. «In Iraq la scusa delle armi chimiche, in Siria la guerra di religione. Stessi gli attori, ma camuffati. Stesse le giustificazioni palesi, anche se più celate. Stesso il fine da perseguire, la destabilizzazione». Per questo considerava «priorità assoluta del dopo guerra la riconciliazione nazionale».
© 2019 Romina Gobbo
pubblicato su Avvenire – Catholica – domenica 14 gennaio 2019