Un mare di tende e capanne. Questa è la visione per chi arriva a Goura, a est di Husserl, nell’Estremo Nord del Camerun. Sono i rifugi improvvisati degli oltre 40mila profughi arrivati alla fine di gennaio a decine di migliaia da Rann, nel nord est della Nigeria, per fuggire agli attacchi di Boko Haram, il gruppo jihadista che lì fa strage dal 2006. Una zona nella quale, da tempo, si sono raccolte migliaia di persone sfollate dalle regioni controllate dai gruppi jihadisti. Hanno attraversato faticosamente il confine, lasciando indietro i familiari più anziani e malati. A Goura vivono in un campo informale, dove gli arbusti servono da sostegno ai teli forniti dall’Onu, che non sono sufficienti. Molte persone dormono all’aperto, esposte alle tempeste di sabbia, che portano con sé malattie respiratorie ed epidemie, in particolare meningiti. Nonostante sul posto siano già attive organizzazioni sanitarie come la Caritas, Medici senza Frontiere e altre, dopo circa un mese dall’inizio di questo esodo, si riesce a coprire solo il 35% dei bisogni, che riguardano l’alimentazione, l’acqua potabile, la sanità, l’igiene, l’abitazione… I più colpiti sono i bambini: sui 6.000 presenti, dai 6 mesi ai 5 anni, quasi 2.000 presentano gravi problemi di malnutrizione. Una tragedia alla quale fratel Fabio Mussi, missionario del Pime, e coordinatore della Caritas della diocesi di Yagoua, cerca di rispondere. Per questo lancia un appello anche ad amici e sostenitori italiani affinché contribuiscano mettendosi in contatto con la “Fondazione Pime Onlus”.
© 2019 Romina Gobbo
pubblicato su Avvenire – Mondo – mercoledì 13 marzo 2019 – pag. 13