Faac, la cedola è sociale

Dieci milioni di dividendi lo scorso anno si sono trasformati in una casa di accoglienza per homeless, un progetto per combattere la tratta di ragazze africane, un istituto per disabili, percorsi di reinserimento nel mondo del lavoro di disoccupati over 50. Così la multinazionale Faac, leader nella produzione di cancelli automatici, di totale proprietà dell’arcidiocesi di Bologna – prima azienda industriale che appartiene ad una diocesi in 2.000 anni di storia della Chiesa cattolica – rimette in equilibrio il rapporto economia e società. «Ci siamo raccontati per cinquant’anni che i consumi sono il luogo della realizzazione umana. Ma è nell’attività contributiva – professionale, relazionale, sociale, volontaristica – che la persona esprime al meglio le sue capacità. Questo è un cambio di paradigma importante, che apre la strada a immaginare i prossimi dieci, quindici anni come una stagione di grande innovazione politica, culturale, organizzativa»: così il sociologo Mauro Magatti, intervenuto, nella sede di Verona del Banco BPM, all’incontro “Il nuovo paradigma. L’impresa sostenibile contributiva”, a partire proprio dal caso Faac, gestito da un trust di tre persone (significa che l’arcidiocesi si è spogliata della proprietà delle azioni, le ha conferite in questo “contenitore”, strumento giuridico di derivazione anglosassone, e ha mantenuto solo l’usufrutto, ndr), dove l’alleanza profit e non profit funziona. «Quando l’azienda è stata ereditata dalla diocesi nel 2012, fatturava circa 210 milioni, quest’anno abbiamo chiuso con 450, per un utile di 63 milioni di euro», ha spiegato Andrea Moschetti, presidente e AD. E dove il codice etico, ispirato alle linee guida per la gestione stilate dall’arcidiocesi, «non è “fuffa” – continua Moschetti -, è una regola che viene declinata all’interno del mondo aziendale. Per cui vantiamo anche un impianto di welfare piuttosto innovativo, che prevede un grande sostegno alla famiglia, attraverso bonus bebè, constributi per l’asilo nido, assistenza alla natalità». Con riferimento all’esortazione apostolica di papa Francesco, L’Evangelium Gaudium, monsignor Cristiano Falchetto, provicario della diocesi di Verona, ha parlato di «crisi antropologica che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo» e, dall’altro lato, ha citato la lettera che lo scorso gennaio Larry Fink, numero uno di BlackRock, ha scritto ai Ceo delle società in cui i suoi gestori investono, e dove mette in una «connessione inestricabile» scopo e profitto. «Il profitto non è più l’unica dimensione proposta – ha osservato Falchetto -. Egli dice anche che i lavoratori devono avere più voce in capitolo all’interno delle società. Se l’avesse detto papa Francesco, sarebbe stato normale, ma che la fonte sia una soggettualità istituzionale di questo tipo, ci conferma che un nuovo paradigma è già avviato. Tuttavia, per potersi attuare, necessita di strumenti coerenti». Ecco allora la sollecitazione a Gianmarco Castellani di BPM: «Perché non aprire un tavolo dove interrogarsi seriamente si quali sono gli strumenti per un’impresa sostenibile contributiva?»

© 2019 Romina Gobbo

pubblicato su Avvenire – Primo Piano – domenica 21 aprile 2019 – pag. 9

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