Il mondo del giornalismo continua a pagare la sua ricerca di verità. La giornalista afghana Mena Mangal, già volto di primo piano di alcune emittenti televisive e consigliere culturale per la Camera bassa del Parlamento, è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco, sabato 11 maggio, nella zona orientale di Kabul, mentre si recava al lavoro. Molto attiva sui social, nel promuovere l’emancipazione delle donne attraverso lo studio e il lavoro, e nel condannare la pratica dei matrimoni forzati con bambine, era già stata oggetto di minacce. Va da sé che il suo attivismo possa essere stato ritenuto “scomodo” in un paese che continua ad essere considerato come il luogo peggiore al mondo dove nascere donna. Tuttavia, qualche miglioramento in questi anni è avvenuto: un incremento delle bambine scolarizzate, una buona presenza femminile in Parlamento, qualche legge contro la violenza. Oggi su tutto aleggia lo “spettro” della pace Usa con i talebani. Che cosa succederebbe se i talebani partecipassero al governo? Si tornerebbe ad una rigida interpretazione della legge islamica? E se invece l’accordo di pace non andasse in porto? Dobbiamo aspettarci altro sangue? L’invasione dell’Afghanistan si è giocata sulla propaganda della difesa dei diritti delle donne, ora, come nulla fosse, ce ne andiamo e le lasciamo di nuovo sole, con il rischio che quei pochi diritti acquisiti vengano nuovamente azzerati.
© 2019 Romina Gobbo – Facebook 13 maggio 2019