Era nata il 24 maggio 1961 ed è morta il 20 marzo 1994. Di chiunque si direbbe “troppo giovane”. Nel suo caso però la vicenda è ben più complessa. Ilaria Alpi, invita del TG3 viene assassinata a Mogadiscio (Somalia) assieme al suo cineoperatore Miran Hrovatin. Sono passati 25 anni e giustizia non è stata fatta: il papà e la mamma si sono battuti fino alla fine dei giorni, ma niente da fare, dopo una serie di depistaggi ben costruiti, arresti-farsa, false testimonianze, prove costruite ad hoc, sparizioni di documenti – tutto quello che in un paese democratico non dovrebbe succedere (e invece è successo tante volte) -, il caso resta senza colpevoli e senza mandanti. Non è bastata la mobilitazione di tanti colleghi giornalisti (Ordine dei giornalisti, Articolo21, Usigrai, Federazione della stampa…), non è bastato che sia stati istituito un premio a suo nome e nemmeno l’attenzione dell’opinione pubblica. Era una giornalista scomoda, aveva indagato su traffici d’armi e rifiuti tossici, tra Italia e Somalia, mettendo in luce responsabilità di parti dei servizi segreti e di alte istituzioni italiane. Era un esempio per noi che cominciavamo il nostro percorso nel mondo del giornalismo. Incarnava quel “fuoco sacro” per la ricerca della verità che sempre dovrebbe guidare chi sceglie questo mestiere. E poi era una donna, che si era imposta – per competenza – in una professione ancora dominata dagli uomini. Le giornaliste stavano aumentando di numero, ma erano utilizzate più come mezzo busti per presentare il TG, nella convinzione che una donna – meglio se piacevole – “buca” di più lo schermo. Ilaria, lavorando in luoghi dove i vezzi passano in secondo piano, dove davvero “ci si sporca le scarpe”, ci restituiva l’immagine di una vera professionista, quella che tutte noi sognavamo di diventare.
© 2019 Romina Gobbo – Facebook 26 maggio 2019