“Che cosa fai nella vita?” “Sono una freelance”. Questa parolina che sembra tanto trendy, in realtà ha molto a vedere con la deriva della flessibilità, ovvero la precarietà. Perché il freelance in Italia non gode di alcuna protezione (accendere un mutuo con la banca è una specie di salto ad ostacoli), può contare solo su di sé – nel senso che gli è vietato ammalarsi, prendersi un giorno di vacanza, dev’essere disponibile H24…-, e soprattutto deve contare sulla sua buona stella, cioè sperare di essere pagato. Perché non è per niente scontato. Anzi. Anche in presenza di un contratto, non è scontato. Perché se non vieni pagato, che cosa puoi fare? Rivolgerti ad un avvocato, che ti costa più di quanto ti spetta dal cliente? Prendere il cliente a randellate? Il nostro impianto giuridico non lo prevede. Ma se tutto questo non bastasse, il freelance deve pure sorbirsi le lamentele di chi – comodamente seduto ad un desk aziendale, con l’aria condizionata e lo stipendio assicurato – gli dice: beato te che non devi fare qualcosa di ripetitivo tutti i giorni, che non hai un capo a cui rendere conto, beato te che sei un libero professionista. Anche qui, purtroppo, sberle non possibili, ancorché desiderate.
© 2019 Romina Gobbo – Facebook 10 giugno 2019