Al suq la contrattazione è d’obbligo – Bargaining is a must at suq

Una delle cose che più mi piacciono nei paesi africani e mediorientali è la contrattazione dell’oggetto da acquistare. Suq o bazar, che dir si voglia, se si dimostra arguzia, il negoziante te la riconosce e il prezzo della merce miracolosamente cala. Ci si accaparra l’oggetto voluto anche pagando un terzo di quanto richiesto inizialmente. Ma non è solo una questione di costo, è proprio una tradizione, quasi un gioco tra le parti, che diverte entrambi. Ed è per questo che rimasi malissimo quando in Afghanistan, nei pressi della base militare di Herat, dove era (ed è) di stanza il contingente internazionale, visto un mercatino locale, andai per acquistare un bellissimo copri divano. Il ragazzino mi chiese 50 dollari. Detti il via al gioco: costa troppo, al massimo te ne posso dare 30. Lui mi guardò con aria sprezzante, e mi disse che quello era il prezzo e da lì non si sarebbe discostato. A lui non importava che io comprassi perché non avrebbe avuto nessun problema a venderlo agli americani; i soldati arrivavano con le tasche piene di dollari e acquistavano qualsiasi cosa senza badare a spese. Me ne andai dispiaciuta, non tanto per l’acquisto mancato, quanto per la consapevolezza di come con quell’invasione gli americani e i loro alleati, non solo hanno raso al suolo il Paese, ma hanno anche inciso profondamente sugli usi e costumi, fino a cancellare tradizioni millenarie.

© 2019 Romina Gobbo – Facebook 22 luglio 2019

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