Roberto Bernasconi, dopo 39 anni di lavoro in un’azienda di borse e valigie, oggi che è in pensione, si divide fra la direzione della Caritas di Como e la famiglia: marito (dal 1891), padre di una ragazza che lo ammira molto, e nonno. «La mia vocazione diaconale è nata all’interno della normalità della vita. Fin da giovane ho avuto responsabilità nell’Azione cattolica e nel sindacato. E con Laura, allora fidanzata oggi moglie, abbiamo sempre condiviso il servizio all’interno della comunità ecclesiale. Questo ci ha portato a conoscerci meglio e a sposarci. Ad un certo punto, però, ho sentito che la nostra esperienza di vita e di famiglia andava testimoniata in modo diverso. Ho cominciato a studiare per diventare diacono più di vent’anni fa, lasciando tutti gli incarichi precedenti, perché ho capito che questo era più importante». Una volta pronto, Roberto è stato destinato all’accoglienza dei primi migranti porvenienti dall’ex Jugoslavia, successivamente il vescovo Diego Coletti – oggi emerito – gli ha affidato la Caritas diocesana. Un compito piuttosto impegnativo visto che parliamo di una diocesi di mezzo milione di abitanti, estesa in tutto il nord della Lombardia, con competenza su tre province, per un totale di 340 parrocchie. C’è l’assistenza ordinaria, ci sono le varie emergenze. «Tra il 2016 e il 2019 sono transitate da Como oltre 60mila persone, delle quali 20mila erano minori non accompagnati di cui nessuno si prendeva carico. Mi sono ritrovato ad essere tutore temporaneo di 2.000 ragazzi. Non è stato semplice, ma era un modo per ricordare a chi di dovere di assumersi le proprie responsabilità». Più volte Bernasconi ha fatto sentire la sua voce a sostegno degli ultimi.
© 2019 Romina Gobbo
pubblicato su Avvenire – Catholica – sabato 3 agosto 2019 – pag. 15