Coppie miste, tra fatica e profezia – Mixed couples, between fatigue and prophecy

«Abdallah è riuscito a rapire il mio cuore», dice Angela. Lei, bolognese, cattolica, impegnata in parrocchia; lui musulmano, di origine marocchina. Lei 47 anni, lui 43. Sposati con rito civile dal 2005, tre figli di 10, 12 e 15 anni. «Orietta ha mosso qualcosa dentro di me», dice invece Mohamed. Lui musulmano, di origine algerina; lei sarda, cattolica. Lui 50 anni, lei 47. Sposati con rito civile nel 2004, matrimonio religioso nel 2006, niente figli. Sono solo due esempi di un fenomeno sociale che in Italia è in significativa crescita: quello dei cosiddetti matrimoni misti. Alcuni di questi casi hanno avuto una certa risonanza pubblica. Per esempio, la ex modella Cinzia Aicha Rodolfi, che ha sposato un ragazzo musulmano e ha scelto di convertirsi, ha raccontato la sua storia nel libro “Dalle sfilate di moda al velo… una musulmana italiana” (edizioni Al Hikma, 2012): «Nel sud della Tunisia vidi colui che pochi mesi dopo sarebbe diventato mio marito (…). Mi strinse la mano e lì, proprio in quel preciso istante, il nostro destino scritto nel grande libro di Allah cominciò a prendere il suo corso (…). Il mio principe azzurro mi avrebbe condotta a diventare faticosamente e poi finalmente e felicemente Aicha». La giornalista siciliana Laura Silvia Battaglia – sposata allo yemenita Taha, cattolica lei, musulmano lui – ha fatto del racconto del conflitto in Yemen la sua missione, professionale e familiare: «Per un arabo musulmano innamorato della propria moglie – ha detto -, il matrimonio è un luogo sacro dove esprimere in modo speciale la lode ad Allah e alla sua grandezza».

Poi ci sono Beppino e Devrim: lui 62 anni, trapanese di origine ma veronese di adozione, lei turca. Due figli di 31 e 14 anni, e un nipote di pochi mesi. Quando si incontrano, lui è cattolico, lei musulmana. Dopo il matrimonio civile, nel 2000 celebrano anche quello religioso, dopo che Devrim ha scelto di essere battezzata. Devrim dice: «Non mi consideravo una persona particolarmente devota ma, allo stesso tempo, sentivo un forte desiderio di un Dio con cui dialogare. C’era un vuoto nel mio cuore, ma non riuscivo a capire come potevo riempirlo». Un avvicinamento al cattolicesimo dovuto all’innamoramento per papa Giovanni XXIII, «incontrato in sogno» pochi giorni prima della sua beatificazione, che la rassicurava sulla bontà del suo matrimonio.

IN FUGA DAL CORNO D’AFRICA
Shamsa, il cui nome significa “sole”, ha 38 anni e viene dalla Somalia, come il marito, figlio di un dissidente politico ucciso durante la guerra civile. Si sono sposati a Milano, in moschea, e hanno due bambine (credits Costanza Genolini)

L’Istat le definisce “unioni fra coniugi di nazionalità diversa”. Nel sentire comune però sono più la distanza culturale o l’appartenenza religiosa a rendere “mista” una relazione. Aggettivo in ogni caso riduttivo, perché ogni unione è diversa, non fosse altro perché ogni persona è diversa da un’altra. A volte, all’aggettivo “misto” si sottende una connotazione di fragilità, come se questi matrimoni fossero considerati più a rischio di altri. Ma al momento, anche se c’è un aumento delle separazioni in linea con la tendenza generale, non ci sono statistiche che dimostrino che ciò sia dovuto all’appartenenza religiosa diversa. Anzi, su questo Angela è perentoria: «Il nostro rapporto è stato avversato dalle nostre famiglie. Proprio queste difficoltà ci hanno aiutato a sviluppare anticorpi molto forti. Abbiamo lottato veramente con i denti». All’instabilità, oltre alle famiglie, concorre anche una certa pressione sociale. Secondo l’Istat, in Italia nel 2016 sono stati celebrati quasi 26mila matrimoni misti, cioè oltre il 12% del totale. Al primo posto c’è la Lombardia (16,8%), seguita da Veneto ed Emilia Romagna. Al momento, quello tra donna italiana e uomo marocchino è il più diffuso. E quello considerato più problematico è il matrimonio islamo-cristiano, a partire dal fatto che per la Chiesa cattolica il matrimonio è un sacramento, segno della grazia divina, mentre per l’islam è un contratto. Così le indicazioni elaborate nel 2005 dalla presidenza della Cei su “I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia” invitano a «non incoraggiare questi matrimoni secondo una linea di pensiero condivisa anche dai musulmani”.

«La regola religiosa – dice Yassine Lafram, presidente dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche italiane – è che l’uomo musulmano può sposare una donna musulmana, o cristiana, o ebrea. La donna musulmana invece può sposare solo un musulmano. Questa regola nasce per preservare l’identità islamica, perché determina che sia l’uomo a prevalere sulla scelta di fede dei figli». Fratel Ignazio De Francesco, monaco della Piccola Famiglia dell’Annunziata, uno dei massimi islamologi italiani, invita i musulmani a fare un passo avanti: «È necessario – afferma – che l’islam italiano ed europeo reinterpreti le proprie fonti per scoprire che è caduta la motivazione di tale proibizione. Essa poggia sul principio che i figli seguono la religione del padre e sul fatto che la donna sarebbe “influenzabile”, quindi a rischio di conversione se sposa un uomo non musulmano. Ma entrambe le motivazioni non hanno più alcuna ragione d’essere in società dove i figli decidono in cosa credere e dove la donna non è seconda a nessuno. Dal punto di vista della giurisprudenza islamica, laddove cade la motivazione che regge la norma, deve cambiare la norma». «In ogni caso – ammette Lafram -, una cosa sono le regole, un’altra è la pratica quotidiana. Così, anche se il fenomeno al momento resta limitato, ci sono anche donne musulmane che sposano uomini non musulmani. Come Ucoii ci poniamo in termini di rispetto delle scelte di ciascuno. Pertanto, una musulmana sposata con un uomo non musulmano non troverà un imam disposto a benedire il suo matrimonio, ma non verrà neanche allontanata dalla comunità. Se noi crediamo fortemente nel dialogo interreligioso e possiamo dialogare con chi ha una fede diversa dalla nostra, non possiamo non dialogare con un musulmano/a che ha fatto una scelta diversa. Ognuno di noi risponderà delle sue azioni davanti a Dio».

UN ABITO CUCITO CON IL CUORE
Josephine, 49 anni, delle Filippine. Il suo abito le è stato cucito dalle sorelle del marito. Per comprare la stoffa hanno dovuto fare una colletta tra le donne del paese (credits Costanza Genolini)

Un segnale forte in questo senso arriva dalla Tunisia, che di recente ha revocato una legge del 1973 che vietava l’unione tra una donna musulmana e un uomo non musulmano. Bisogna però capire di cosa stiamo parlando. «Di matrimoni misti mi occupo da vent’anni – nota Barbara Ghiringhelli, docente di Antropologia dell’immaginario medio-orientale allo Iulm di Milano -. All’epoca la situazione tipica era: donna italiana e uomo straniero, proveniente da un Paese a maggioranza islamica. Oggi il profilo è molto cambiato. Se chi si sposa ha vissuto molto in un Paese islamico, è ovvio che, al di là dell’appartenenza alla religione islamica, ha respirato una cultura profondamente intrisa di islam. Se invece la persona ha vissuto in un contesto diverso, come può essere quello europeo, è necessario distinguere bene chi è credente e praticante da chi non lo è. Se vogliamo entrare nel cuore della dinamica di una coppia islamo-cristiana, dobbiamo trovare le coppie dove la pratica religiosa è reale. Altrimenti la dimensione religiosa non è qualificante».

A ribadire la complessità del tema è don Giuliano Savina, direttore dell’Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso: «Stiamo parlando di una materia che richiede studio, competenza, professionalità – dice -, perché diverso è vedere queste unioni dal punto di vista dogmatico, oppure pastorale, oppure interreligioso. Fortunatamente, nella Chiesa ci sono persone che si dedicano alla preparazione e all’accompagnamento di tali coppie, le quali si accorgono del mistero che vivono nella loro vita, ma ne conoscono anche le difficoltà. Non dimentichiamo che dietro queste unioni c’è la gioia dell’amore, ma c’è anche sofferenza. Inoltre, una cosa sono i matrimoni interreligiosi, un’altra quelli interconfessionali. Nel secondo caso, cioè nei matrimoni tra cristiani di confessioni differenti, per i coniugi significa anche conoscere il cammino ecumenico di dialogo bilaterale che negli anni hanno fatto le Chiese, e quindi inserire la loro storia in questo cammino. Se c’è questa consapevolezza, allora possiamo dire che queste coppie sono preludio di una nuova aurora. Anche se il matrimonio tra una parte cattolica e una parte musulmana non ha dignità sacramentale, esso nondimeno può realizzare i valori propri del matrimonio naturale e costituire per i coniugi una preziosa opportunità di crescita».

LA FEDE E L’AMORE
Barbara, italiana di 48 anni, si è convertita all’islam per amore e ha preso il nome di Fatima. Il marito è marocchino. La famiglia di lei, inizialmente contraria, ha poi lentamente accettato la sua scelta (credits Costanza Genolini)

Questa è la ratio che legittima la concessione della dispensa dall’impedimento di disparità di culto, che permette a una persona battezzata nella Chiesa cattolica di sposare una non battezzata. «La nostra diocesi riconosce tale dispensa a 15-20 casi all’anno, ma riceve il doppio di richieste. A volte sono gli stessi fidanzati che, dopo aver ascoltato le nostre riflessioni, ci ripensano», spiega don Giampiero Alberti, collaboratore per la diocesi di Milano sui temi delle relazioni con la fede islamica e le religioni orientali. La clausola fondamentale è contenuta nella lettera apostolica in forma di Motu proprio di papa Paolo Vi intitolata “Matrimonia mixta”, del 31 marzo 1970: “La parte cattolica deve allontanare da sé il pericolo di perdere la fede. Essa inoltre ha l’obbligo di formulare la promessa sincera che farà tutto quanto sarà in suo potere perché tutta la prole sia battezzata ed educata nella Chiesa cattolica”. Inoltre, “di tali promesse, a cui è tenuta la parte cattolica, dovrà essere tempestivamente informata la parte non cattolica». «Spiegare in maniera accurata è fondamentale», riprende don Alberti, perché altrimenti può succedere che «il maschio cristiano scelga di pronunciare la shahada (professione di fede nell’islam, ndr) pensando che si tratti solo di una formalità, mentre in realtà sta abiurando alla fede cattolica e manifestando una vera e propria adesione all’islam». Da parte dei coniugi ci dev’essere soprattutto il rispetto dell’altro e della sua fede e magari anche la curiosità di conoscerla, perché questo aiuta a comprendere meglio il partner. È successo così a Mohamed: «In Algeria ero molto religioso, quasi integralista. Quando sono arrivato in Italia, l’incontro con il mondo cristiano – attraverso prima don Vinicio Albanesi della Comunità di Capodarco che ha creduto in me, e poi attraverso Orietta, che mi ha subito accolto, senza pregiudizi -, mi ha aperto altre prospettive, un modo nuovo di rapportarmi a Dio. E mi ha fatto conoscere bene la figura di Gesù. Per i musulmani è un profeta, per me è molto di più, è un modello da seguire».

Imam e sacerdoti concordano che queste coppie necessitano di attenzione particolare. «Innanzitutto vanno molto seguite nella preparazione al matrimonio – insiste don Alberti -, perché dev’essere tutto chiaro – obblighi giuridici, sociali, economici e religiosi -, anche per le famiglie, in modo che poi non nascano problemi, e ogni caso va valutato a sé. Noi non procediamo se non c’è piena libertà, se entrambe le parti non si impegnano al rispetto reciproco. Allo stesso modo la parte musulmana può andare a confrontarsi in moschea. Ma queste famiglie vanno seguite anche dopo il matrimonio, soprattutto quando arriva il primo bambino. I figli dovranno essere educati al rispetto della religione di entrambi i genitori, insistendo sui valori comuni – la misericordia, la carità, la giustizia, la preghiera… -così che essi siano liberi di decidere nell’età matura se la rivelazione avviene in Cristo o attraverso il Corano. Se lo spirito è davvero quello di valorizzare le cose comuni, il cammino è davvero più facile».

Qualcuno sceglie il matrimonio civile perché crea meno problemi. «Noi non siamo su questa linea – conclude don Giampiero -. Preferiamo spingere per il matrimonio religioso affinché i coniugi possano vivere in grazia di Dio. Credo che questi matrimoni, se ben preparati, siano davvero una profezia in questa nostra Chiesa delle genti».

LA GRAZIA DI UN INCONTRO
Margherita (Yita) ha 35 anni ed è salvadoregna. Anche il marito è del Salvador. Si sono conosciuti a Milano in un gruppo di preghiera, sorto per pregare per un cugino comune che aveva una brutta malattia al cuore e che si è salvato, a sentire i medici del Niguarda, per un miracolo. Come ringraziamento per la grazia, hanno deciso di sposarsi, onorando il loro amore con il sacramento del matrimonio (credits Costanza Genolini)

Una prospettiva originale arriva dall’esperienza di fratel Ignazio. «Ho partecipato a un matrimonio “misto”: lui cattolico, lei musulmana. Il sacerdote dice che non si sta celebrando il sacramento del matrimonio cattolico tra due battezzati, ma si sta riconoscendo che il patto d’amore di questi due ragazzi risale alle origini stesse della vita che, per chi crede, è creata da Dio; un legame che precede tutto il resto. Questa è la sfida del matrimonio tra due persone che professano due religioni differenti, non vogliono rinunciare alla propria fede ma, consapevoli del peso della sfida, si amano e vogliono vivere insieme. E sentono e sanno di averne diritto».

SOL LEVANTE A MILANO
Manami ha 43 anni ed è giapponese. Ha studiato design in Giappone e ha conosciuto il marito, che si occupa di moda, casualmente, per motivi lavorativi. Da cinque anni vivono a Milano (credits Costanza Genolini)

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MATRIMONI INTERCONFESSIONALI

Quegli accordi tra Chiese cristiane che aiutano il cammino delle coppie

Per quanto attiene ai matrimoni interconfessionali, esistono due accordi molto avanzati raggiunti dalla Conferenza episcopale italiana con la Chiesa valdese-metodista e con quella battista. Come spiega Marco Da Ponte, direttore del Centro studi teologici “Germano Pattaro” di Venezia, e autore del libro “Verso una rivalutazione della sacralità del matrimonio” (Emp-Fttr, Padova), tali documenti «hanno due meriti: il primo è che implicitamente riconoscono all’una Chiesa e all’altra la validità del loro matrimonio. Sussiste la differenza di fondo che riguarda il valore sacramentale del matrimonio, escluso dalle Chiese valdese-metodista e battista; tuttavia, si ammette che ci possa essere una sorta di equivalenza della dignità del matrimonio dell’una e dell’altra Chiesa. Il che è molto promettente anche sul piano del dialogo ecumenico. Altro elemento positivo è che in entrambi i documenti si sottolinea il fatto che – per un buon risultato sul piano cristiano dei matrimoni – ciascuno sposo deve approfondire e sviluppare la propria maturazione della fede all’interno della propria Chiesa. Ed è bene che questa vita di fede dei due sposi sia ben conosciuta da entrambe e da entrambe le comunità di appartenenza; inoltre, si invitano i parroci e i pastori ad avere a cuore anche la vicinanza, la sollecitudine nei confronti del coniuge di altra confessione. In Italia questi matrimoni sono sporadici, anche perché battisti e valdesi sono pochi. Tuttavia, io vedo questi due documenti come il segnale di un possibile allargamento di questo tipo di approccio anche ad altre religioni».

© 2019 Testo di Romina Gobbo e foto di Costanza Genolini

pubblicato su Jesus – rivista di ottobre 2019

Le immagini di questo servizio fanno parte di un ampio progetto della fotografa Costanza Genolini, che nel quartiere più multietnico di Milano, quello di via Padova, ha ritratto donne provenienti da ogni parte del mondo, chiedendo loro di reindossare, «per il tempo di un sorriso, un ballo e una foto», l’abito con cui si sono sposate.

 

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