«Avrei potuto rimanere in America, sapendo che le mie sorelle venivano tagliate, rapite e trasformate in schiave? Einstein ha detto che inizi a vivere quando ti dai agli altri. Io sento di vivere adesso». Sono parole di Bogaletch (Boge) Gebre, attivista etiope contro le mutilazioni genitali, una piaga ancora ben presente nel Corno D’Africa. Aveva interrotto una brillante carriera in California per tornare nel suo Paese e cercare di impedire che altre ragazze subiscano quello che lei e la sorella Fikirte avevano subito. A causa dell’infibulazione in età puberale, entrambe avevano rischiato di morire. Per combattere la pratica delle mutilazioni genitali femminili, nel 1997 hanno fondato la Ong KMG (Kembatti Mentti Gezzimma, ovvero Le donne di Kembatta combattono insieme) Etiopia, che gestisce un centro salute e fa opera di sensibilizzazione, in un Paese dove spesso sono le donne a perpetrare una “tradizione” riconosciuta nel 2012 dall’Onu come crimine contro l’umanità e quindi illegale. Ma la legge non è sufficiente, serve un cambio culturale. L’Etiopia è un bellissimo Paese, ma ci sono lati negativi meno conosciuti, come appunto le mutilazioni, ma anche l’abuso nei confronti dei bambini/e. L’impegno di Gebre sta dando i suoi frutti: alle feste che sanciscono l’ingresso nella pubertà non vengono più effettuate mutilazioni, sono diventate momenti per onorare e ringraziare il proprio corpo. Gebre è morta a 66 anni il 2 novembre scorso a Los Angeles, ma la sua morte è stata resa pubblica solo l’altro ieri dal New York Times. La ricordiamo con affetto soprattutto in vista del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro la donna.
«Nel lungo periodo, le donne più forti creano comunità più forti, le donne più forti creano una nazione più forte e le donne più forti creano un’Africa più forte» (Bogaletch Gebre)
La foto, di Martin Dixon, è presa dal sito di KMG Etiopia
© 2019 Romina Gobbo – Facebook 20 novembre 2019