Mai come in questi giorni penso che aver frequentato aree di crisi fa la differenza. Perché c’è un’abitudine alle difficoltà, fisiche e psicologiche. Fisiche perché ho dovuto fronteggiare qualche virus bello tosto, gli afghani e gli indiani se la giocano alla pari come virulenza. E allora il Covid-19 fa meno paura. E poi là si impara la sopravvivenza a qualunque costo e questo viene buono nei momenti di scoramento dell’oggi, quando tutto sembra negativo. Dal punto di vista psicologico, l’essere stata in un rifugio antiatomico fa sembrare un nonnulla l’attuale reclusione in casa. Ma queste restrizioni mi fanno pensare alla Palestina, una striscia di terra, con oltre 500 check-point. Puoi uscire dal tuo villaggio solo con un permesso di lavoro. E poi c’è Gaza, una prigione. Noi tra qualche mese torneremo a muoverci, gradatamente, ma riprenderemo le nostre abitudini, per loro ci saranno sempre sbarre, muri e filo spinato. Mentre da straniera ero libera di andare ovunque, da Ramallah a Gerusalemme, percepivo la rabbia specialmente dei giovani, e riuscivo a comprenderla, mentre mi chiedevo come mi sarei sentita io. Ora che provo questa coercizione sulla mia pelle (ben poca cosa al confronto), io che passerei la vita in viaggio, sento ancora più forte che niente vale quanto la libertà.
© 2020 Romina Gobbo
pubblicato su Facebook/LinkedIn – lunedì 16 marzo 2020