In quest’emergenza Covid-19, che ha dimostrato ancor più che in altre crisi l’importanza dell’informazione, e che dà speranza per la ripresa di un settore che da troppi anni soffre per la perdita di lettori, ancora una volta ad essere “figli di nessuno” sono i collaboratori esterni di giornali ed emittenti televisive e radiofoniche. Per chi non lo sapesse, i collaboratori sono quelli fuori dalle redazioni, che lavorano con contratti occasionali, oppure coordinati e continuativi (forma che per gli appartenenti agli Albi professionali è ancora vigente), o con contrattini “auto elaborati” dall’editore di riferimento, o in altri modi più fantasiosi. Sono quelli che lavorano con il proprio pc, e con il proprio telefonino. Sono preziosi quando i redattori interni vanno in vacanza – ad agosto e a Natale per intendersi -, oppure quando questi hanno l’influenza, ma poi vengono mollati a sé stessi quando ad avere bisogno sono loro. Non hanno ferie pagate, non hanno malattia, non hanno rimborsi spese, nessuna indennità. Perché – come è notorio – se scoppia una rissa allo stadio, l’ultrà della situazione colpisce solo il redattore contrattualizzato, mentre sta attento a salvaguardare il collaboratore. Succede anche con i mafiosi: minacciano solo i contrattualizzati. Per non parlare dei cronisti di guerra, anche lì le bombe scelgono con cura quali cronisti far saltare.
Mai come in questo periodo i collaboratori esterni sarebbero potuti essere utili visto che il lavoro si svolge al telefono e via -email per motivi di non assembramento. I collaboratori sono da sempre abituati allo smart working, perché da sempre lavorano da remoto. Ma questo sarebbe potuto avvenire solo se ci fosse stato alla base un qualche rapporto di empatia fra direttore e collaboratori, e redattori e collaboratori. Invece non c’è. Si parla molto nelle aziende di qualificazione delle risorse umane, ma questo nelle aziende-testate giornalistiche non esiste. Mai sentito un giornale che si preoccupi dei propri collaboratori. Così in questo periodo invece di cercare di andare incontro ai più bisognosi – appunto i collaboratori – in molti casi li si è messi da parte. Quasi più nessuna chiamata per proporre articoli e le loro proposte non vengono prese in considerazione perché quello su cui discutono i redattori interni (uso redattori per semplificare, ma le redazioni sono piene di una pletora di vicedirettori, condirettori, capiservizio, vicecapiservizio, capiredattori, vicecapiredattori dove ad ogni gradino di avanzamento, corrisponde un bell’incentivo…) è sempre più urgente. C’è in questo un’arroganza di fondo, che a volte porta a perdere notizie importanti, perché nessuno si è degnato di leggere con attenzione le email dei collaboratori.
Naturalmente il refrain dei redattori interni è che chi sta fuori non può capire. La notizia di oggi è che chi sta fuori capisce perfettamente e si sta domandando se davvero si accontenta di essere considerato solo quando c’è da pagare l’Inpgi, per sostenere le pensioni dei soliti noti. Che, molto spesso, continuano pure a lavorare, e magari per la stessa testata che li ha pre-pensionati, con scivoli economici elevati. Quelli che stanno fuori si chiedono quando i CdR – che scioperano anche perché vogliono un incremento dei buoni pasto -, si occuperanno anche di loro, che il pasto non riescono neppure a metterlo insieme.
Si parla tanto di unità della categoria. Ma quale categoria? Se Editori, Sindacati, Direttori e Redattori interni continuano a estrometterne una parte, considerati di fatto “giornalisti di serie B”. Ai quali vengono tagliati i compensi senza neanche interpellarli, ma facendo trovare il regalo nel cedolino di pagamento. A proposito, non parliamo – se non in pochi casi – di forfait mensili, bensì di cottimo: 20, 30 euro ad articolo. Hai voglia a scriverne prima di raggiungere una mensilità decente. Se le compagnie telefoniche al giorno d’oggi non avessero adottato tariffe stracciate per le telefonate e i Giga, nessun collaboratore di testata giornalistica potrebbe più lavorare, perché rischierebbe di spendere più di quello che guadagna. I lettori si lamentano della qualità dei giornali? Forse è il caso di ribadire loro quali salti mortali fa un collaboratore esterno per guadagnare i famosi 20 euro. Perché quei 20 euro sono sempre gli stessi sia che tu stia al telefono a casa tua, sia che tu scelga di andare a farti un giro nello Yemen. E vogliamo parlare delle foto? La maggior parte delle volte non vengono pagate, perché si è presa la bella abitudine di non firmarle. Puoi decidere di lamentarti, ma il redattore non ti darà retta, perché troppo impegnato a lavorare – solo lui -, per avere tempo di prendere in considerazione le tue rimostranze. Se mandi una email non risponde, se chiami al telefono non te lo passano. Pochissimi quelli che ti concedono il numero di cellulare.
Adesso il Sindacato si bea di aver ottenuto che anche ai giornalisti collaboratori vengano riconosciuti 500 euro dallo Stato a copertura di questo periodo di inattività forzata. Ma di cosa stiamo parlando? Di elemosina in un momento di grave emergenza, un modo di ripulirsi la coscienza, tanto a pagare è qualcun altro. Infatti è lo Stato a farsene carico, non i giornali, che pure qualche debito di riconoscenza verso i collaboratori esterni dovrebbero averlo, visto che le loro pagine sono riempite per lo più dai vituperati di cui sopra.
I giornali intraprendono battaglie contro le aziende che mettono in cassa integrazione i propri lavoratori o che vogliono decentrare, certo battaglie giuste, ma ci sono altre aziende che proprio in questo momento drammatico stanno sostenendo i propri lavoratori con gli incentivi. Perfino la Marina Militare sta aiutando i propri lavoratori in difficoltà. Invece i giornali ai propri collaboratori non offrono neanche il panettone a Natale.
© 2020 Romina Gobbo
http://www.scriptandclick.com – mercoledì 1 aprile 2020