Quanto vale una vita? Quanto vale in termini economici? Quanto in termini strategici? Il riscatto spesso non è solo uno scambio di denaro. È fatto anche di accordi, e magari di rilascio di quelli che noi chiamiamo terroristi, mentre loro si considerano combattenti per la causa, per la patria, o per Allah. I rapimenti possono essere fonte di arricchimento spicciolo, oppure un’arma di guerra. Nel primo caso di solito, si tratta di bande di criminali comuni; nel secondo, di gruppi più strutturati, con obiettivi più importanti. Nel primo caso, l’inesperienza dei rapitori mette a rischio la vita dell’ostaggio. Nel secondo, è il negoziato ad essere più faticoso, perché bisogna appunto decidere quanto vale una vita in relazione alla “ragion di Stato”.
Che cosa c’entra Silvia Romano in tutto questo? Forse niente, o forse tutto. Niente, perché è una giovane piena di ideali, partita per l’Africa per accudire i bambini (e qui forse va fatta una riflessione sulla capacità delle organizzazioni di proteggere i propri cooperanti in aree ad alto rischio); tutto, perché si è trovata coinvolta in un gioco più grande di lei. Che Silvia, rapita in Kenya il 20 novembre 2018, sia stata liberata, doveva essere la good news, invece la notizia è diventata la sua conversione all’Islam, “sbandierata” attraverso l’abito. Oltretutto, accostandola, in alcuni media a foto di persone con addosso l’hijāb (ﺣﺠﺎب), che nulla c’entra con il jilbāb somalo. Oppure usando “islamica” come sostantivo, mentre invece è aggettivo; il sostantivo corretto è musulmano. Ma tutto questo era da aspettarselo. Il silenzio attorno al mondo islamico era un po’ troppo assordante, da quando il “cinese con la tosse” ha sostituito il “musulmano con lo zainetto” nei commenti dei leoni da tastiera. In questa vicenda ancora una volta è l’essere donna a fare la differenza in negativo. Non ha avuto infatti lo stesso clamore la liberazione di Luca Tacchetto e della fidanzata canadese Edith Blais, il 14 marzo scorso. Eppure, anche loro erano partiti per fare attività di volontariato, anche loro non sono tornati vestiti all’occidentale, ma con la tunica dei tuareg, e si erano recati in una zona – il Sahel – che è la più pericolosa in assoluto perché lì gli interessi della criminalità locale si intrecciano con quelli dei gruppi jihadisti. Ufficialmente, loro sono riusciti a scappare, ma sembra poco probabile che si siano fatti un pezzo di deserto a piedi. L’ombra del riscatto aleggia anche in questo caso. Allora che cosa c’è di diverso? Che Luca è un uomo, ed è rimasto Luca, mentre Silvia è una donna, ed è diventata Aisha. Ed ecco che si sente tornare fra le righe – ma neanche tanto – quella equivalenza musulmano=terrorista, che dall’11 settembre accompagna ogni vero o presunto attentato jihadista. Ma Silvia è diventata musulmana, non si è radicalizzata. Probabilmente non sapremo mai tutta la verità sul suo sequestro, perché è sicuramente un verità scomoda, e perché troppi elementi si intersecano, dalla ricomparsa di al-Qaeda (sempre in lotta con Isis per la supremazia del “brand”) alla quale sono legati sia gli al-Shabaab somali, che Jama’a Nusrat Ul-Islam Wa Al-Muslim, che ha rapito Tacchetto, al ruolo della Turchia, che non fa nulla per nulla (non dimentichiamo, poi, che la Somalia è appettibile, per cui non ci sono solo i turchi, ma anche i cinesi, gli americani, il Qatar, i sauditi), dall’entità del riscatto pagato per Silvia, ai particolari della detenzione e poi della liberazione. In tutto questo, a Silvia sia permesso di vivere la sua religione e la sua vita come pare a lei. Solo il tempo potrà dire se si tratta di una fede autentica. Le stesse comunità musulmane non vogliono conversioni forzate. Per evitare tutte queto odio, sarebbe stato meglio che le fosse risparmiata tutta questa esposizione mediatica, invece anche questo è stato un prezzo da pagare, probabilmente al Governo italiano che ha cercato il coup de théâtre per sviare le polemiche crescenti sui provvedimenti restrittivi presi per la pandemia. Solo che ha ottenuto l’effetto contrario. In ogni caso, se ne parlerà ancora per giorni, perché the show must go on.
© 2020 Romina Gobbo
http://www.scriptclick.com – 12 maggio 2020