Cara Mamma Celeste, ti prego per L., il ragazzo colpito dal Coronavirus. Non lo conosco ma ho anch’io due figli e sento dolore per lui. Intercedi presso tuo Figlio affinché lo faccia guarire. Grazie». In tempo di Coronavirus a chi ci si può rivolgere se non alla Madonna della Corona? Al santuario mariano della diocesi di Verona, a Ferrara di Monte Baldo, sono arrivate le prime richieste di intercessione a Maria per la guarigione dal Covid-19. Nei mesi
di chiusura per la pandemia, erano solo online ma, appena riaperto, marito e moglie, ammalatisi entrambi e poi guariti, sono saliti a ringraziare. «La peculiarità del messaggio della Madonna, qui rappresentata dalla Pietà, è l’accoglienza alle persone afflitte», spiega il rettore don Pietro Maroldi. «La gente arriva per offrire la propria vita all’Addolorata e per chiedere la grazia per le proprie sofferenze. Tanto che molti salgono la Scala Santa con le ginocchia nel ricordo del dolore di Gesù e, di conseguenza, di Maria».
UNA LUNGA STORIA
Situato a 800 metri di altitudine, in un incavo scavato nel Monte Baldo a strapiombo sulla valle dell’Adige, il santuario è dedicato alla Madonna dell’Addolorata, ma viene chiamato “della Corona” per la forma delle rocce che lo circondano. Sospeso tra cielo e terra, è una meraviglia dell’uomo che si incastona nella natura, meta di silenzio e meditazione fin dal Medioevo. «Il tema della corona ritorna anche dentro la chiesa», continua il rettore, «perché la statua della Pietà è posta all’interno di una corona di spine, circondata da una corona di angeli, da dove escono tre raggi di luce. Al centro, la morte di Gesù e la passione di Maria; attorno, la gloria degli angeli e, nella luce, la Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo». La devozione alla Madonna iniziò a metà del 1100 con l’arrivo in loco di alcuni eremiti benedettini. Alla fine del 1200 essi costruirono la prima chiesetta, nella quale fecero dipingere un affresco, chiamato “Madonna del Monte Baldo”. La statua della Pietà risale invece al 1432; fu donata da Ludovico di Castelbarco ai Cavalieri di Rodi, che avevano assunto la proprietà della prima chiesa. La trasportarono sull’isola di Rodi da cui è rientrata nel 1522, si dice portata dagli angeli, quando i turchi conquistarono l’isola. Nel frattempo, era già stata costruita una seconda chiesa, dove la Madonna dell’Addolorata ha trovato collocazione. Il rettore, 83 anni, è l’unico prete stabile; quando è tempo di Messe e Confessioni arrivano rinforzi dalla diocesi. Del servizio alla chiesa si occupano tre suore vietnamite, mentre Ferdinando Brunelli da trent’anni gestisce l’Hotel Stella Alpina di proprietà del santuario. Ma le necessità di distanziamento fisico si fanno sentire anche quassù. «Quest’anno sarà dura raggiungere le consuete 100.000 presenze annuali di fedeli italiani e stranieri», riprende don Pietro. «In basilica abbiamo dovuto ridurre i posti a sedere, che sono passati da 400 a 120. Le Messe da sette sono diventate cinque. Ma, piano piano, la vita riprende. Il primo fine settimana dopo la riapertura, le cinque Messe hanno registrato la presenza di quasi 300 fedeli. Il problema sarà il ritorno dei pellegrini stranieri. Penso che non se ne parlerà almeno fino al 2021. Sono state cancellate tutte le prenotazioni, anche perché molti arrivano da Paesi anch’essi colpiti dal virus».
UN CAMMINO DI PREGHIERA
Per salire al santuario, si può arrivare con l’autobus da Spiazzi e poi fare l’ultimo tratto a piedi, dov’è situata la Via Crucis, attraversando anche la galleria costruita nel 1922, oppure percorrere il sentiero che sale da Brentino, 600 metri di dislivello e 1.760 gradini. «Serve almeno un’ora e mezza, un tempo giusto per recitare un paio di rosari seguendo le stazioni, meditare, riflettere, elevare lo spirito in alto», dice don Pietro. «La recita del rosario aiuta la persona a contemplare i misteri della salvezza. È così la preghiera diventa momento di conforto, perché riconosce in Gesù e Maria i modelli per poter affrontare le difficoltà della propria vita». Nel 1982 al santuario venne attribuito il titolo di basilica minore; il 17 aprile 1988 ricevette la visita di san Giovanni Paolo II. Ricorda don Maroldi: «Nel 1893 c’era stato Giuseppe Sarto, allora patriarca di Venezia, il futuro Pio X. Non esistevano né la strada, né la galleria, e così dovette farsi una gran scarpinata. Avrà sudato parecchio: forse per questo, quando divenne Papa, concesse l’indulgenza plenaria ai pellegrini che arrivano sin qui». Da quando don Maroldi è arrivato, dieci anni fa, il santuario è un cantiere continuo. «Ho fatto eseguire più di cento interventi. Abbiamo completato la Via Crucis che mancava di otto stazioni. Ma soprattutto abbiamo fatto installare le reti affinché non cadano massi o punte di ghiaccio. Così la visita è possibile pure d’inverno». Anche don Pietro ha qualcosa da chiedere alla Madonna: «Che, assieme al Signore, faccia il miracolo che noi non riusciamo a fare: trovare un vaccino affinché possiamo tornare a vivere normalmente».

Scala Santa
© 2020 Romina Gobbo
pubblicato su Credere – giugno 2020 – pagg. 54, 55, 56, 57