Mio zio Giovanni Paolo I, un Papa materno – My uncle John Paul I, a maternal Pope

«Spero di non avergli fatto prendere freddo». «Ti senti a disagio a scuola?». «Vostra mamma a volte è fin troppo severa, voi avete bisogno di affettuosità». «Era così zio Albino: un uomo che si interrogava sul perché il fratellino Federico fosse morto ad appena un anno. Un uomo che mi chiedeva se mi sentissi in difficoltà al liceo, poiché la mia famiglia era una delle meno abbienti. Ha sempre avuto con noi nipoti un rapporto “materno”. Un aggettivo che mi parve davvero appropriato quando anni dopo, da Papa, affermava: “Dio è papà, più ancora è madre”. Ma, anche da Pontefice, per tutti noi cugini era semplicemente “lo zio”, una guida sicura, a cui tutti ricorrevamo». Lina Petri, figlia di Antonia, sorella di papa Giovanni Paolo I, al secolo Albino Luciani, dallo zio ha ereditato il tratto della discrezione e della delicatezza. La raggiungiamo telefonicamente dopo la recente nomina nel Consiglio di amministrazione della neo-istituita Fondazione vaticana dedicata al Pontefice di origini bellunesi, di cui è presidente il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin. «Lo zio era molto protettivo con la mamma, perché era la più piccola della famiglia», continua Lina. «L’ho frequentato molto dal periodo della mia adolescenza fino a quando venne eletto successore di Pietro. Più crescevo, e più mi accorgevo che il colloquio con lui diventava sempre più profondo».

UNA MORTE SCONVOLGENTE

Giovanni Paolo I venne a mancare quando Lina aveva ventidue anni. Fu lei l’unica parente a vederlo morto nel suo letto la mattina presto del 29 settembre 1978. Papa Luciani era stato eletto quasi all’unanimità al soglio pontificio, il 26 agosto: 33 giorni di pontificato. «Fu un colpo durissimo per la nostra famiglia. Non ce l’aspettavamo. La diagnosi fu di infarto. Quella mattina mi chiamò mio fratello Roberto e io – che risiedevo a Roma, dove frequentavo la facoltà di Medicina all’Università cattolica – mi precipitai al Palazzo apostolico. Entrai nella sua camera e rimasi seduta vicino al letto dov’era disteso il corpo dello zio per un tempo indefinito, da sola».

UN COMPLEANNO DA FESTEGGIARE

Lina evoca con emozione tutte quelle ore. Continua: «Poi raggiunsi suor Vincenza, che l’aveva accudito da quando era stato vescovo a Vittorio Veneto.Fu lei a dirmi che qualche giorno prima lo zio aveva espresso il desiderio di avere tutta la sua famiglia con lui il 17 ottobre per festeggiare assieme il suo compleanno. Questo mi commosse ancora di più. Solo un mese prima era stato elevato a quello che lui considerava un servizio, e ci aveva mostrato con quanto amore aveva saputo rispondere anche a questa ulteriore chiamata. Quando vennero a prenderlo per esporne il corpo nella sala Clementina per gli ossequi, andai anch’io. Rimasi lì, in silenzio, a osservare e, pur nello shock dell’evento, provai conforto nel vedere quante persone venivano a salutarlo. Ero molto giovane. Non potevo immaginare che nei giorni successivi saremmo stati travolti dalle malignità sulla sua morte». Da più parti, infatti, si fece strada la leggenda dell’avvelenamento, alimentata anche da una serie di inesattezze e contraddizioni nella comunicazione da parte del Vaticano.

ILLAZIONI SULLA SUA MORTE

Oggi, grazie ai risultati del lavoro di ricerca mirata a ripercorrere le ultime ore della sua vita, avviata dalla causa di canonizzazione, è stato definitivamente sgomberato il campo dalle illazioni. «Le speculazioni su una presunta morte violenta ci hanno provocato molta sofferenza, perché hanno nuociuto allo spessore reale e alla memoria dello zio. Ricordo che quando andavo a visitare la sua tomba nelle Grotte vaticane, c’erano file interminabili e, immancabilmente, sentivo qualcuno dire: “È il Papa che hanno ammazzato”. Per non parlare dei giornalisti che ci assillavano. Tutto questo ci ha molto rammaricati, ma non abbiamo mai creduto che fosse stato ucciso».

Nato il 17 ottobre 1912 a Canale D’Agordo, in provincia di Belluno, dove la sua casa è oggi diventata un museo, Albino Luciani rifletteva alcune caratteristiche tipiche della gente di monatgna: la riservatezza, la sobrietà, la tenacia, unite all’evangelica semplicità che lo portava a “tradurre” in linguaggio comprensibile anche i discorsi “alti” affinché il messaggio della salvezza potesse giungere a tutti. La sua era stata una famiglia “allargata” perché il padre Giovanni, rimasto vedovo e risposato con Bortola, la nonna di Lina, aveva portato con sé le due figlie avute dal primo matrimonio, le quali entrarono a pieno titolo a far parte della nuova famiglia, con i fratelli Albino, Edoardo e Antonia. Il 15 dicembre 1958 Albino divenne vescovo di Vittorio Veneto; undici anni dopo, papa Paolo VI lo nominò patriarca di Venezia. «Il suo faro era il Magistero, la sua cifra la misericordia – conclude Lina -. in questo era molto simile a papa Francesco. Su tutto svettava il suo amore per gli ultimi. A Venezia fu molto criticato perché aveva venduto alcuni preziosi appartenenti al patriarcato per sostenere un’opera di disabili in difficoltà, ed esortava i sacerdoti a fare altrettanto. Credo che avesse sempre davanti a sé il monito di suo padre, il quale, quando il figlio undicenne gli disse che voleva entrare in seminario, da buon socialista qual era, rispose: “Va bene, purché tu sia un prete in difesa dei poveri”».

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LA FONDAZIONE – UN MAGISTERO QUANTO MAI ATTUALE

«Finalmente è stata costituita la Fondazione vaticana Giovanni Paolo I, un ente ad hoc per lo studio della figura e dell’operato di papa Luciani, il cui magistero è straordinariamente attuale. Ritengo sia un atto importante e doveroso affinché la sua valenza storica possa essere riscoperta e restituita appieno con l’attenzione e la serietà dovute». A spiegare gli obiettivi della neonata Fondazione vaticana dedicata al Pontefice di origini bellunesi è la vicepresidente Stefania Falasca, che ha conseguito il dottorato di ricerca sugli scritti di Giovanni Paolo I e per quasi un ventennio ha ricoperto l’incarico di vicepostulatrice della sua causa di canonizzazione. «La causa si è chiusa il 9 novembre 2017 con la proclamazione delle virtù eroiche», spiega Falasca. «Attualmente è in fase di giudizio finale il processo su un presunto miracolo, riconosciuto il quale si potrà procedere alla beatificazione». Oltre al presidente, il cardinale Pietro Parolin, di origini venete, alla vicepresidente Falasca, al segretario Alfonso Cauteruccio, compongono il Consiglio di amministrazione con Lina Petri, il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione del clero, originario della diocesi di Vittorio Veneto; il canonista monsignor Andrea Celli e il patrologo don Davide Fiocco, direttore del Centro di spiritualità e cultura “Papa Luciani” di Belluno.

© 2020 testo di Romina Gobbo – foto di Stefano Dal Pozzolo/Contrasto
pubblicato su Credere – domenica 23 agosto – numero 24/2020 – pagg. 24, 25, 26, 27

 

 

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