Pane e dignità: è questo il criterio che guida la realizzazione nella diocesi e provincia di Vicenza di una rete di “empori della solidarietà”. L’iniziativa è di sei enti vicentini da tempo impegnati nell’accompagnamento alle persone che si trovano in situazione di difficoltà socio-economiche: Fondazione Caritas, Conferenza San Vincenzo, Centro Aiuto alla Vita, Croce Rossa, Associazione Ozanam Onlus, Associazione Diakonia Onlus. «L’emergenza Covid-19 – spiega don Enrico Pajarin, presidente di Fondazione Caritas Vicenza – ha evidenziato ancor di più le situazioni di fragilità che caratterizzano anche la nostra diocesi. A marzo e aprile il numero di famiglie in difficoltà è raddoppiato, e di questo raddoppio per il 70% si tratta di casi che non conoscevamo. Alcune famiglie necessitavano di aiuto alimentare immediato, perché era venuto a mancare il lavoro durante il lockdown, poi, però, conclusasi l’emergenza, sono riuscite a riprendere la loro autonomia, per altre invece la situazione di difficoltà si protrae. Sono quelli che si trovano nella fascia del cosiddetto ceto medio, che in una forbice fra ricchi e poveri che si va via via allargando, non riesce più ad ottemperare agli impegni precedenti. Abbiamo stilato una condivisione di intenti fra più realtà d’aiuto, perché siamo consapevoli che oggi nessun ente ha la forza necessaria per fronteggiare da solo questo aumento di bisogni, destinato ad acuirsi ulteriormente in autunno, quando sarà finita la moratoria sui licenziamenti legata alla pandemia».
Gli empori della solidarietà sono delle specie di supermercati, dove la gente va a fare la tua spesa, ma gratuitamente. «Sulla base di analoghe esperienze avviate in altre zone d’Italia e anche nel Veneto, alle famiglie in difficoltà viene assegnata una tessera a punti spendibile negli empori per fare la spesa. Non diamo, quindi, una borsa con il cibo, ma responsabilizziamo i beneficiari, che devono essi stessi gestire i punti assegnati, all’inizio accompagnati, ma verso un percorso di totale autonomia. Il supporto che diamo è anche di tipo educativo, per insegnare al consumo più regolare, senza sprechi. Quando si è in uno stato di benessere non s fa molto caso a costi “occulti” come può essere un led sempre acceso, mentre in un momento di difficoltà anche quello può fare la differenza. E poi, naturalmente, come sempre abbiamo fatto, affianchiamo percorsi di ricerca lavoro», continua don Enrico. Una modalità di aiuto che richiama con forza la parola “dignità”. «Chi nel passato ha vissuto una situazione di agiatezza, fatica a chiedere aiuto, perché non accetta facilmente il ridimensionamento dello status, se ne vergogna. Spetta a noi, dunque, il monitoraggio, per capire chi è nel bisogno. Questo lo facciamo grazie alla diffusione capillare di volontari che tutte noi associazioni abbiamo costruito negli anni di attività solidale. Quello che va assolutamente evitato è che gli aiuti abbiano una patina di bieca distribuzione dall’alto in basso». Lo spazio per l’emporio vicentino non è ancora stato trovato, perché deve avere determinate caratteristiche. «L’idea è di evitare ambienti che possano essere stigmatizzati. Niente, quindi, interrati degli oratori, serve un posto con una valenza commerciale, immerso nella vita di tutti i giorni».
© 2020 Romina Gobbo
pubblicato su Avvenire – mercoledì 16 settembre 2020 – pag. A12