«Come faremo in quest’anno così difficile a cantare la gioia del Natale? È la domanda che mi pongo in questi giorni mentre mi accingo a preparare l’omelia. Il Natale per me è sempre stato un momento di serenità e di canto. I canti mi piacciono tanto, ma quest’anno dovremo accontentarci del suono dell’organo. Naturalmente al centro della Messa ci sarà la liturgia, il mistero del Natale, ma non potrò slegare l’omelia da quello che stiamo vivendo».
Don Silvano Corsi dal 2009 è il cappellano del cimitero monumentale di Verona, tra le città più colpite del Veneto. «In tempi normali, celebro dai 15 ai 20 funerali al mese, in questo periodo mi capita di celebrarne anche tre al giorno. Non si tratta solo di morti per Covid, ma sicuramente il nuovo virus sta fortemente incidendo sull’incremento dei decessi. Per la maggior parte, sono persone molto anziane. Ho funerali programmati fino all’ultimo giorno dell’anno, il che non era mai successo. Per fortuna posso contare sul supporto di due diaconi. E non dimentichiamo che a quelli che celebro io, vanno aggiunti i funerali nelle varie parrocchie, ora possibili».
Dati i tempi lunghi, al cimitero monumentale sono stati portati due camion frigo per accogliere le salme fino al momento della tumulazione o cremazione che – dice don Silvano – «è in aumento: sue dieci funerali, sette sono cremazioni».
Ai ritmi sostenuti don Silvano si è purtroppo abituato nel periodo drammatico di marzo-aprile quando «arrivava una salma ogni quindici minuti. Nelle parrocchie non si potevano celebrare i funerali. Grazie ad un accordo tra prefetto e Curia, solo qui al monumentale potevano avvenire tumulazioni e cremazioni, alla presenza di un numero ridottissimo di familiari. Non è stato facile perché, per rimanere nel numero consentito, abbiamo dovuto dire no a nipoti e fratelli. Sostavamo per un po’ in silenzio davanti per i morti e di consolazione per i parenti». Don Silvano ha benedetto anche le bare provenienti da Bergamo, poche parole con le lacrime agli occhi per la consapevolezza che quelle salme erano state deposte dentro un telo di plastica dagli operatori sanitari, senza il saluto dei parenti.
«Ogni giorno mi confronto con la morte, con la sofferenza. È un servizio a senso unico il mio, perché incontro le persone in modo fuggevole: questa non è una parrocchia, è una rettoria dove si viene solo per il funerale. Avvicino le persone in un momento in cui sono fragili davanti a se stesse, davanti agli altri, e anche davanti al Signore. Nel rapporto con i familiari dei deceduti io mi gioco tutto nella celebrazione, nelle parole con cui cerco di far riflettere, nelle letture che scelgo, nel modo in cui riesco ad annunciare Gesù. Sono contento di fare questo servizio perché vedo che è importante, anche per i non credenti. Loro magari non vanno in chiesa, ma sanno che i loro genitori ci tengono al funerale religioso».
Nella cappella del cimitero ogni domenica alle 10 si celebra la Messa. Così sarà anche il giorno di Natale, mentre oggi la celebrazione sarà alle 18. Quest’anno non sarà facile trovare un messaggio di speranza. «Gesù è la vera gioia, a lui dobbiamo affidarci, questo dirò al popolo di Dio». E questo don Silvano l’ha detto anche a quel novantenne che piangeva la morte della moglie. «Il dolore al tempo del Covid è amplificato dalla mancanza di contatto con il proprio caro malato». Così, quando le mani di quest’uomo sofferente si sono soffermate sulle sue, don Silvano non se l’è sentita di sottrarsi. «Come avrei potuto privarlo di quel gesto di vicinanza?»
© 2020 Romina Gobbo
pubblicato su Avvenire – giovedì 24 dicembre 2020 – pag. A10