Giovanni Putoto: «Nella fede trovo il coraggio per aiutare i malati» – «In the faith I find the courage to help the sicks »

«La guerra, il virus ebola in Serra Leone, il ciclone Idai in Mozambico, la fame in Sud Sudan, il genocidio del Rwanda, il Covid in Etiopia… È nelle emergenze che si fa l’esperienza del limite». Il medico trevigiano Giovanni Putoto, 60 anni, ha speso la vita come cooperante di Medici con l’Africa-Cuamm, l’Ong padovana che è da settant’anni tra le maggiori organizzazioni non governative per la tutela della salute delle popolazioni africane. Fare esperienza del limite, riflette, «ti porta a cercare le tue risorse più profonde. E, tra queste, le prime sono quelle spirituali. Dopo, si genera il coraggio di affrontare i problemi e di mettere in campo altre risorse: fisiche, mentali, materiali. E la tua esperienza va comunicata alla tua comunità in modo che anch’essa si faccia portatrice di solidarietà concreta».

Giovanni è partito per l’ennesima volta la scorsa primavera. «Non conto le partenze, ma conservo i passaporto esauriti dai timbri, li metto da parte per i nipoti», dice la moglie Francesca. Tante volte lei e il marito sono partiti insieme; i primi dieci anni dopo il matrimonio li hanno vissuti in Africa, interrotti solo da due esperienze in Inghilterra per motivi di studio.

LA MALATTIA SCONOSCIUTA

Stavolta Giovanni è partito da solo, anche questa non è una novità, la vera novità è la malattia che è andato ad affrontare. Siamo all’inizio di aprile 2020. L’epidemia da Covid-19 imperversa in Italia e in Europa, ed è arrivata anche in Africa. «I miei figli, Elena, Beatrice, Daniele e Simone, mi chiedevano se questo viaggio fosse proprio necessario», ricorda Putoto. «Francesca no, perché con lei c’è una sintonia molto forte, abbiamo condiviso tutto fin da ragazzi, abbiamo un background simile, fatto di oratorio, amici missionari e Azione cattolica».

DA SOLO SU UN BOEING 747

Putoto in quei giorni balza all’onore delle cronache perché è l’unico medico che parte per l’Africa in tali circostanze. All’aeroporto di Fiumicino è solo. Sarà l’unico passeggero di un Boeing 747 da 500 posti dell’Ethiopian Airlines. «Nessun eroismo. Solo la risposta a una domanda interiore. Se non fossi andato, come sarei potuto essere all’altezza dei tanti colleghi medici che prima di me avevano prestato generosamente il loro servizo all’Africa, soprattutto nelle difficoltà?»

Laurea in Medicina a Padova (1986), specializzazione in Igiene; nel Regno Unito diploma in Tropical Medicine and Hygiene (1990) e master in Health Management Planning and Policy (1996), Putoto è forte di un’articolata esperienza in cooperazione sanitaria e le difficoltà le affronta di petto. Fin da quella prima operazione chirurgica andata male, quando una suora che lavorava con lui come responsabile dell’anestesia, vedendolo abbacchiato, lo incalzò: “Su, dottore, non si abbatta. C’è da occuparsi di tanti altri malati”. «Era molto saggia. Mi stava dicendo: impara dai tuoi errori, e fallo rapidamente, perché il tempo è prezioso. In Africa la morte la tocchi da vicino. C’è chi muore perché manca la terapia appropriata. Questi pensieri ti aiutano a recuperare alcune accezioni di fede, e anche a capire che i problemi sono talmente complessi che bisogna accettare che le nostre risposte non siano sempre efficaci. Ma occuparsi dei poveri non significa fare una medicina povera. Questa è la grande scuola Cuamm. Devi dare il massimo con le risorse che ci sono. È quello che insegno ai miei figli: non pretendo che siano numeri uno, ma che ce la mettano tutta sì».

Il dottore non nasconde che spesso attinge alla preghiera. «È una dimensione molto intima, insopprimibile, quasi una relazione con una persona. Mi piace occuparmi degli africani: nella relazione con loro incontro Dio, così come nella bellezza del creato, e l’Africa è bellissima».

AFRICA SCUOLA DI ESSENZIALITÀ

Giovanni Putoto insegna a giovani medici (credits Daniele Massignan)

L’altra compagna è la letteratura perché il medico non può fare solo il medico. «Ai neolaureati dico: fai il tuo tirocinio in Africa, ma incontra le persone, entra nelle loro case, cerca di comprendere. Io in questo periodo mi sto lasciando suggestionare dalla letteratura afro-americana, perché penso che certe esperienze di popolo assomiglino molto all’esperienza del popolo ebraico. Cosa è stata negli Stati Uniti la schiavitù? Dodici milioni di persone sono arrivate là, strappate dall’Africa, e hanno vissuto un esodo che non è ancora finito, contrassegnato da grandissima sofferenza, per acquistare un po’ di dignità».

Il Covid ha dimostrato ancora una volta che ad ammalarsi di più sono le classi sociali inferiori. «In Africa non c’è stato un impatto diretto pandemia-morti paragonabile al nostro, ma ci sono degli impatti indiretti: per esempio le donne non vanno più a partorire nei centri sanitari per paura di infettarsi. Questo aumenta la morbilità e la mortalità. Per le agenzie internazionali dai 70 ai 100 milioni di persone a breve cadranno in situazioni di povertà estrema, e dai 200 ai 250 milioni entreranno in uno stato di fame, e sono prevalentemente in Africa. Questo spiega perché papa Francesco abbia chiesto di tagliare il debito. Morire per malattie banali non è accettabile, ogni vita umana è una perdita troppo grande». Rifarebbe tutto? «Sì. Per me l’Africa è stata ed è tuttora una grande scuola di essenzialità».

© 2021 Testo di Romina GobboFoto di Beatrice Mancini
pubblicato su Credere – n.1/2021 – pagg. 24, 25, 26, 27

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