«Più vado avanti nel tempo e meno ho da dire». Certo non è un granché come inizio per un’intervista, se non fosse che poi Antonella Attili, attrice romana, alias Agnese Amato nella fiction di Rai1 “Il paradiso delle signore”, da dire ha moltissimo. E lo fa con lo stesso garbo a cui lei attribuisce il successo della soap ambientata all’interno di un grande magazzino di moda nella Milano degli anni ’60. I primi episodi dopo la pausa natalizia stanno già facendo impennare l’audience della rete ammiraglia. «Credo che la forza stia nel racconto di sentimenti come la gentilezza, il pudore delle relazioni, oggi desueti – dice la Attili -. Perché oggi è tutto più esasperato, siamo più ruvidi, più diretti, il linguaggio si è involgarito, c’è un impoverimento dell’eleganza, dell’educazione. Nel “Paradiso” ci sono elementi di modernità in un tempo che non è contemporaneo. La gente vuole ricordare che c’è stata un’Italia così, ed era bellissima».
In quel grande magazzino si intrecciano relazioni amicali, nuovi amori, delusioni, ascese professionali; sullo sfondo, il boom economico che porterà grandi cambiamenti anche sul piano sociale. Agnese dalla Sicilia si trasferisce a Milano per seguire i tre figli, mentre il marito, scappato in Germania per problemi con la giustizia, sembra inghiottito in un buco nero. «Sono molto grata al personaggio di Agnese, impersonare una donna così ricca di sfaccettature è un privilegio. Mi assomiglia nel suo essere materna, accudente, punto di riferimento per i figli e per gli amici».
Un rapporto importante Agnese in scena ce l’ha con un sacerdote. «Nella soap la figura del prete è fondamentale. Agnese lo massacra pretendendo da lui tutte le risposte. La fede si nutre delle parole di chi sa andare dritto al cuore del problemi. Come fa papa Francesco, che ha messo al centro l’umano, liberando la scena dai dogmi; per questo attira moltissimo anche i giovani. Io non sono osservante, ma ricerco la spiritualità, a partire dal mio quotidiano, dai principi che ritengo sani: il rispetto per gli altri, per il pianeta, per il mio lavoro, per chi è nel disagio. Papa Francesco parla spesso di compassione e ho capito che non significa “ti compatisco”, ma “patisco con te”». La Attili, 57 anni, ci tiene a ricordare di essere un’autodidatta perché, dopo la bocciatura all’Accademia nazionale d’Arte drammatica, «considerai una tale ingiustizia che il mio talento non fosse riconosciuto, che rinunciai». Provino dopo provino, oggi il curriculum è di primo piano. Dal teatro dell’avanguardia romana ai film “Nuovo cinema Paradiso” di Tornatore, e “Il paziente inglese” di Minghella, e poi ancora registi di primo piano come Margarethe von Trotta, Marco Ponti, Pupi Avati, Ettore Scola, Checco Zalone. Ma la strada per un’attrice resta impervia. «Poiché la maggior parte dei registi sono uomini, hanno un immaginario limitato rispetto al femminile, restano incapaci di indagarne le diverse declinazioni».
© 2022 Romina Gobbo pubblicato su Avvenire - Agorà - martedì 23 febbraio 2021 - pag. 23