Lidia è giovane, è bella, ama la danza del ventre, è ironica, ed è anche spavalda, si diverte a fare il verso a Hitler. Quando nella banca, dove sta prelevando, irrompe un commando di soldati della Decima Mas, non può non sfidarli. Le mani sui fianchi: «Io sono ebrea e allora?» È in quel preciso istante che per Lidia si aprono le porte dell’inferno. Picchiata, violentata, arrestata,
deportata nel campo di concentramento di Auschwitz- Birkenau, dove l’imbruttimento ha la meglio sulla bellezza. Adibita al piacere delle SS. Il 27 gennaio 1945, moribonda in un letto lurido, infestato dalle cimici, viene raggiunta da una
ragazza polacca che grida: «Sono arrivati i russi, siamo salve». Troppo tardi. Lidia alza le braccia al cielo e muore, finalmente in pace. Ha solo vent’anni. Si intitola ‘La bellezza può salvare il mondo? – In memoria di Lidia Tedeschi 1925-1945’ il webinar dell’associazione ‘Nessun uomo è un’isola’, che gestisce il Museo del carcere ‘Le Nuove’ di Torino. L’evento si svolgerà
l’8 marzo, in occasione della Giornata internazionale della donna, alle 10, sulla piattaforma Zoom, con diretta sul canale YouTube
‘ Museo del Carcere Le Nuove’. È la seconda tappa (la prima è stata il 27 gennaio, Giorno della Memoria, l’ultima sarà il 25 aprile, Festa della Liberazione), del progetto ‘Dalla memoria del bene comune alla cultura della vita’, che vede la partecipazione
di 45 insegnanti e circa 500 studenti – di scuole di ogni ordine e grado – delle Regioni Piemonte, Molise, Puglia e Campania. Nel webinar si susseguiranno i contributi degli studenti: video, clip, canzoni rap, blog tematici, flash mob online, approfondimenti…
‘ Le Nuove’, carcere dal 1870, dopo l’ 8 settembre 1945, fu occupato dai tedeschi, che vi imprigionarono partigiani, oppositori, ebrei. C’era un braccio femminile, che dal 1926 al 1965 fu diretto da suor Giuseppina De Muro (delle Figlie della Carità di San Vincenzo De’ Paoli), donna tosta, sarda di Lanusei, simbolo della donna che salva la vita, che è sempre al femminile. « Suor Giuseppina ha salvato dalla deportazione molti bambini e bambine, mettendo in campo la vera intelligenza femminile, per
esempio nascondendoli tra le lenzuola sporche che venivano lavate all’esterno del carcere», spiega la professoressa Pina Mafodda, della segreteria organizzativa del progetto. «La scelta dell’ 8 marzo – dice Felice Tagliente, direttore del museo ‘ Le Nuove’ e dell’associazione ‘ Nessun uomo è un’isola’ – è per collegare le donne di ieri a quelle di oggi, ancora vittime di violenza.
All’epoca del nazismo vigeva la pratica di rasare i capelli delle donne e spogliarle totalmente. Ma era soprattutto uno spogliare la donna della sua intimità e dignità. Durante la pandemia tante ragazze sono cadute nell’anoressia e nella bulimia, hanno ferito il loro corpo. Noi vogliamo far loro comprendere che il corpo trasmette la bellezza interiore, quella dell’anima. Ricordare
queste figure non è solo fare memoria storica, è domandarsi: Chi è l’uomo? Perché la memoria ha valore se diventa impegno» .
© 2021 Romina Gobbo
pubblicato su Avvenire – Cronaca – venerdì 5 marzo 2021 – pag. A12
Grazie a te Terry che mi segui con affetto
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