Treviso. Bruni e Tomasi, dialogo sul benedetto/maledetto lavoro

«La mano dell’uomo che – in pieno lockdown – mi portava a casa un pacco di prodotti della terra dei miei genitori ha per me la stessa dignità del sacerdote che in chiesa ti porge l’eucaristia, perché era servizio, era reciprocità». Il dialogo sul tema “Il lavoro tra maledizione e benedizione” tra l’economista Luigino Bruni, ordinario alla Lumsa di Roma, e il vescovo di Treviso monsignor Michele Tomasi ha aperto ieri alle 17, le iniziative della diocesi inserite nel Festival Biblico 2021. L’incontro, nell’auditorium Sant’Artemio, è stato moderato da Luca Bertuola dell’associazione “Partecipare il presente”, un sodalizio nato per ragionare sui temi del lavoro, e che racchiude vari soggetti culturali, le sigle sindacali, le istituzioni e le diverse categorie professionali.

Potrebbe sembrare strano ascoltare un economista che discetta di Bibbia, ma le motivazioni sono profonde. «La Bibbia è piena di economia – ha spiegato – Tanti episodi biblici avvengono mentre la gente lavora, a partire da Mosè che incontra Dio nel roseto ardente, mentre sta pascolando le pecore. Da questo punto di vista, il lavoro è luogo di teofanie, di incontri con il divino, perché il lavoro è vita, ed è nel quotidiano che avvengono le cose straordinarie». Poi però la prima immagine che gli ebrei hanno di sé nelle Sacre Scritture, è quello che della schiavitù in Egitto. «La Bibbia non ha una visione romantica del lavoro. Il lavoro non è sentimentalismo. Sui luoghi di lavoro la gente muore. C’è chi si suicida perché è disoccupato. Mia nonna si spaccava la schiena nei campi per mantenere sette figli. Chi ha conosciuto la campagna vera, sa che quello lì è un mondo di grande sofferenza». La chiave di lettura, quindi, è l’ambivalenza benedizione/maledizione. «Non è solo una questione di lavoro nero, illegale, ci sono altre dimensioni di sfruttamento del lavoratore meno evidenti, ma altrettanto gravi. Ad esempio, il lavoro non stimato, non riconosciuto. C’è tantissima gente che sta quarant’anni dentro lo stesso ufficio, dentro la stessa azienda, e non si è mai sentita vista. Ognuno di noi deve avere un lavoro, non un posto». Per Bruni, l’essere seri impone anche di essere realisti. «Il lavoro è benedizione nella misura in cui riesce ad essere in parte vocazione. Ma c’è anche una componente di fatica, di noia. Ai giovani dico: mentre sognate il lavoro ideale, non perdetevi quello che state svolgendo. Se ti trovi nella vita a fare un lavoro che non è la tua vocazione, l’unico modo per sopravvivere, è farlo bene. La dignità del lavoro è di tutto il lavoro, quello che ti piace e quello che non ti piace».

Più centrato sulla fraternità l’intervento del vescovo Tomasi, a partire dall’enciclica Fratelli tutti. «Caino e Abele, Esaù e Giacobbe, e tanti altri. Anche nella Bibbia il problema è il riconoscimento – ha concluso -. Chi si sente non riconosciuto, non amato, mette in moto delle rivalità, questioni profonde, che stanno alla base della storia dell’umanità. Papa Francesco ci parla di fraternità come imperativo. Soltanto quando dico “noi”, esco dal circuito del narcisismo, smetto di guardare solo a me stesso. Io non mi scopro allo specchio, mi scopro nello sguardo degli altri che mi guardano. Questo “noi” è il luogo dove possiamo dare dignità alla persona che lavora. Non esiste la parola astratta “lavoro”, esiste la persona che lavora, la persona che non lavora, la persona che lavora male. Attenzione, però perché il “noi” ha un rischio, quando lo contrapponiamo a “loro”. Dobbiamo costituirci in un “noi” che abita la casa comune. Non “tanti”, ma “tutti”, l’apertura di infinito dev’essere la nuova prospettiva».

© 2021 Romina Gobbo 

pubblicato su Avvenire - Agorà - venerdì 18 giugno 2021 - Pag. 1

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