Collevalenza (Pg). Nell’abbraccio della Misericordia

Chissà che cosa avrebbe detto Madre Speranza del fatto che la sua foto su Facebook ha ricevuto cinquantamila visualizzazioni? Lei che schivava i media. Lei che amava il fare – fu cuoca, operaia, sarta, contadina -, ma non l’apparire. «L’esposizione mediatica ha avvicinato tanta gente che prima non ci conosceva», dice Marina Berardi, addetta alla comunicazione del santuario di Collevalenza. In piena pandemia, avvolto nel silenzio per la mancanza dei pellegrini, questo luogo consacrato all’Amore Misericordioso è entrato nelle case attraverso le dirette streaming, la pagina Facebook, il profilo Instagram, il canale YouTube, le Messe su Tv2000 e Canale5.

Papa Giovanni Paolo II il 22 novembre 1981 in visita al santuario dell’Amore Misericordioso

«Un santuario dove si annuncia in modo speciale il messaggio dell’Amore Misericordioso non poteva restare insensibile alla richiesta di fede delle persone provate dal Covid», dice il rettore, padre Ireneo Martin, che a Collevalenza è cresciuto. «Sono qui dal 1962 – racconta -. Avevo dodici anni, per me Madre Speranza è stata prima di tutto mamma. Poi anch’io venni folgorato dal messaggio dell’Amore Misericordioso. La Madre non intese certo inventare una dottrina nuova, bensì raccogliere la preziosa eredità di tanti suoi predecessori, tra cui santa Teresa del Bambino Gesù. A quei tempi la Chiesa era scettica, il riconoscimento arrivò con papa Giovanni Paolo II che, il 22 novembre 1981, ancora convalescente in seguito all’attentato del 13 maggio, venne al santuario e affermò di essere stato salvato dalla misericordia di Dio. Nel 2013, Giubileo della Misericordia, l’allora vescovo della nostra diocesi di Orvieto-Todi, Benedetto Tuzia, ha scelto di aprire da noi la Porta Santa».

UN LUOGO CHE CATTURA LE ANIME

A Collevalenza, sulle colline a sud di Todi, in provincia di Perugia, Madre Speranza di Gesù, al secolo Maria Josefa Alhama Valera, si stabilì esattamente 70 anni fa, il 18 agosto 1951, con i Figli e le Ancelle dell’Amore Misericordioso, congregazioni da lei fondate. Era un luogo poco conosciuto, un roccolo dove i cacciatori catturavano gli uccelli. Lei ne fece un luogo per “attirare anime”. Anime che da allora arrivano da tutta Italia, ma anche da vari Paesi del mondo, dalla Romania al Sudamerica, per immergersi nelle piscine (quando si poteva, prima della diffusione del Covid-19, ndr) e confessarsi. Madre Speranza – nonostante la salute cagionevole – dedicò la vita a costruire una basilica-santuario da intitolare a Gesù Amore Misericordioso, per ricordare a tutti che «anche l’uomo più perverso è amato da Dio. Il crocifisso ci rimanda lo sguardo del Signore, che è sguardo d’amore», continua il rettore. E proprio del crocifisso Madre Speranza era innamorata, tanto che la prima parte del santuario a essere costruita è la cappella che accoglie quello commissionato nel 1931 al madrileno Cullot Valera.

«La sua caratteristica principale è la serenità, la pace che trasmette. Come dice san Giovanni, “consegnò il suo spirito”, Gesù non muore costretto, muore per amore. Sotto ai suoi piedi c’è il mondo perché il messaggio dell’amore misericordioso è rivolto a tutti. Particolare piuttosto raro è la presenza dell’ostia alle spalle del Cristo. Madre Speranza amava l’Eucaristia, tanto che da bambina – diceva – “rubò” Gesù. Si intrufolò a Messa per ricevere il corpo di Gesù anni prima di aver ricevuto il sacramento della Comunione».

MISTICA DELLA MISERICORDIA

Nata il 30 settembre 1893 a Santomera, nella regione della Murcia, in Spagna, della sua infanzia si sa poco. Si sa invece che la sua vita religiosa fu piuttosto travagliata. Era una mistica e, come padre Pio, fu indagata dall’allora Santo Uffizio per i fenomeni prodigiosi di cui fu protagonista. Morì l’8 febbraio 1983. Il 31 maggio 2014 fu dichiarata beata. «Per le tante persone che arrivano qui per pregare sulla sua tomba nella cripta del santuario, lei è già santa», dice il rettore. «A volte dobbiamo “contenere” l’entusiasmo. Tanti vogliono toccare i suoi oggetti, i suoi abiti, invocando la guarigione. Noi vogliamo evitare che la fede diventi superstizione. Spieghiamo che Madre Speranza è una mediatrice, ma il fine è Gesù, è lui che ci tiene sempre per mano».

La Cappella del Crocifisso, realizzata nel 1955, è eretta a santuario nel 1959. Al complesso sacro si sono via via aggiunti la basilica e la cripta, consacrate il 31 ottobre 1965, il campanile, che richiama i fedeli di tutta la vallata, la piazza a forma di abbraccio, le due case di accoglienza, la casa delle Ancelle e quella dei Figli dell’Amore Misericordioso, la Casa del pellegrino, la via Crucis monumentale. E, nel 2018, la casa della Madre è diventata un percorso multimediale, curato da Fogo Multimedia. Attraverso musica, testimonianze filmate e fotografie inedite, la tecnologia propone una narrazione coinvolgente e al passo con le concentrazioni espositive dell’epoca moderna.

La storia del santuario è strettamente legata a quella del pozzo, scavato nel 1960, a oltre 100 metri di profondità. Ci vollero dieci mesi lavoro, ma alla fine l’acqua zampillò copiosa, perché Gesù stesso aveva indicato alla Madre dove perforare. «L’acqua è ricordo del Battesimo – spiega Marina -. Una sola goccia può fare miracoli. Non è fanatismo, è rito. Nel periodo del lockdown, ci siamo fatti vicini ai nostri pellegrini, inviando boccette d’acqua ai tantissimi che ce le hanno richieste».

© 2021 Romina Gobbo 

pubblicato su Credere - domenica 15 agosto 2021 - numero 33 pagine 54, 55, 56, 57

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