Il rosario al polso al posto del cronometro. È così che si «corre da Dio». E, quando si corre da Dio, si corre
anche per il prossimo. «La nostra iniziativa principale, l’Eco-Maratona del Pellegrino, è di fatto
un pellegrinaggio di corsa, a ritmo blando, non è una competitiva, niente numeri né pettorali. Sono 38
chilometri: partiamo dal centro di formazione camilliano di Borgo Trento ( Verona), poi corriamo
lungo la Val d’Adige; gli ultimi due chilometri e mezzo la corsa diventa una camminata, perché si
deve affrontare il sentiero boscoso che porta alla nostra meta, il santuario di Madonna della Corona,
sul Monte Baldo. La peculiarità è che ciascuno si deve prendere in carico un compagno, e assicurarsi
che non resti indietro, perché tutti devono arrivare. Chi conosce la maratona, sa che c’è un momento in
cui ci si chiede: chi me l’ha fatto fare? È allora che c’è bisogno di qualcuno vicino, non deve dire o fare
nulla, dev’essere lì, respirare al mio fianco», spiega Luciano Venturini, cofondatore con Massimiliano
(Max) Bogdanich, Stefano Piccoli, Fabrizio Quattrociocche e Marco Lovato dell’associazione
veronese “Noi corriamo da Dio”. Nel 2014, per fare memoria dei 400 anni dalla morte di san Camillo De
Lellis, su sollecitazione di padre Carlo Vanzo, c’era stata una prima corsa, da Bucchianico in Abruzzo
fino a Roma. «Nell’occasione, avevamo consegnato una lettera per papa Francesco, spiegando il nostro
progetto – dice Venturini -. Qualche tempo dopo arrivò il ringraziamento del Santo Padre con
l’esortazione a continuare questo tipo di testimonianza. A quel punto, abbiamo fondato
l’associazione, che si ispira ai valori camilliani: la fatica e la solidarietà».
Così può accadere che chi partecipa, lo faccia per l’amico che si trova in ospedale, e l’anno successivo,
proprio quell’amico, completamente ristabilito, corra perché chi l’aveva sostenuto, si trova ora in difficoltà.
Oppure che una ragazza corra per ringraziare la Madonna per il buon esito dei vari interventi
chirurgici occorsi per asportarle un melanoma ad un polpaccio. «Il ricavato di ogni attività va per uno
scopo benefico. Abbiamo aiutato associazioni che si occupano di sclerosi multipla, di fibrosi cistica, di
vittime della strada, dei piccoli pazienti oncologici, donne operate al seno», aggiunge Bogdanich. I
podisti sono uomini e donne dai 40 ai 70-75 anni, per lo più già con qualche esperienza di maratona alle spalle. «Finché il maratoneta parla, significa che va tutto bene – riprende Bogdanich, atleta di professione per 35 anni, due volte campione italiano master di maratona -. Parlare in corsa serve a far lavorare il
diaframma. Se stai andando in affanno, le parole non escono. Proprio il ritmo lento permette alle persone
di raccontarsi. Così abbiamo scoperto tanti mondi e tante storie. Ogni dieci-dodici chilometri ci fermiamo
per tirare il fiato e per la recita del rosario, che dedichiamo a chi soffre. I nostri partecipanti, poi,
doneranno il proprio rosario alla persona per la quale hanno pregato», dice Max. Tessere non esistono, il
segno distintivo è la maglietta bianca con la scritta noicorriamodadio. «Il Noi si riferisce ai circoli Noi.
Lo slogan dice che vogliamo correre per portare il messaggio di Dio, che è gioia. Lo facciamo di corsa,
così il messaggio arriva prima. Nella maglietta c’è anche la croce rossa evocativa dell’impegno dei
camilliani per i malati. Vedere un centinaio di persone che corrono con questa maglietta, è un
bell’impatto. E, per quanto mi riguarda, ho voluto che nella seconda parte della mia vita la corsa non
fosse più per la prestazione, ma fosse un dono», conclude Bogdanich.
© 2022 Romina Gobbo
pubblicato su Avvenire – Agorà – mercoledì 15 dicembre 2021 – pag. 24