«Basta veleni per i nostri figli». il grido delle mamme No Pfas

ALLARME. Tra Vicenza, Padova e Verona, sono le donne a guidare la battaglia contro il pericoloso inquinante presente nella falda acquifera

«Ho trasmesso io il veleno ai miei figli allattandoli al seno»: è arrabbiata Cinzia, 58 anni, nei confronti di coloro che sapevano e non hanno detto. «Ci hanno raccontato che l’acqua era buona. I sindaci andavano in piazza con le caraffe. Oggi si sa per certo che le Pfas sono nocive, compromettono la salute. Gli screening hanno evidenziato valori totalmente sballati in molta parte della popolazione interessata. A mia figlia a vent’anni è stato diagnosticato un carciroma linguale, ha già subito cinque interventi, a me hanno tolto un tumore al seno. Non è facile, ma tutto questo mi ha fatto scaturire una forza che non pensavo di avere. Sono un panzer. Per mia figlia sono pronta a tutto. Costi quel che costi. Ma noi mamme non usiamo la violenza. Da guerriere di pace, noi lottiamo per dare ai nostri ragazzi un mondo più pulito». Cinzia è una delle Mamme No Pfas, il Movimento sorto nel 2016 per avere una giustizia, dopo la scoperta che i fiumi e le falde del territorio veneto, in particolare nel triangolo Verona, Padova, Vicenza, sono stati irrimediabilmente contaminati dalle Pfas (sostanze per-fluoroalchiliche), cioè composti chimici tossici prodotti sinteticamente dall’uomo per uso industriale.

«Gli studi confermano che il tumore al seno è una delle malattie potenzialmente correlate alle Pfas, anche se nessuno lo metterà mai per iscritto», spiega Cristina, di Lonigo, il paese vicentino maggiormente colpito, dove si trova la falda inquinata. Anche Cristina ha fatto i conti con il tumore al seno. «Nel nostro territorio è diffusissimo. Ho subito una mastectomia cinque anni fa, ma sto ancora aspettando per la ricostruzione, perché ci sono liste d’attesa infinite. E questo la dice lunga sul numero di donne che ne sono colpite». «Mia figlia, 19 anni, non ha valori altissimi, poco più di 21 nanogrammi per millimetro di siero. Io ne ho 28 – dice Michela, 49 anni, di Legnago (Vr) -. Mio nipote ha 100, mio fratello 40. Non è importante quanto si ha, il punto è che questa contaminazione non dovrebbe esserci. Chi mi assicura che, anche se mia figlia ha valori bassi, questo non le scatenerà qualche malattia? non è stato stabilito sotto quale soglia le Pfas non sono pericolose, perché sono bio-accumulabili. Tra l’altro, nel sangue le vedi, se le cerchi. Ma ne vedi solo alcune. Inoltre, non mi risulta che vengano effettuate biopsie o autopsie su persone decedute e contaminate da Pfas, quindi non sappiamo quali e quanti altri organi vengano intaccati».

Dalla falda contaminata pescano gli acquedotti che servono 28 comuni, oltre ad un numero imprecisato di pozzi privati a uso potabile. Una popolazione di circa 350mila persone continua ad essere esposta, nonostante l’uso di costosi filtri a carboni attivi negli impianti di trattamento delle acque. All’inizio le Mamme No Pfas erano solo quattro, oggi sono molte di più, e a dare man forte ci sono anche i mariti. «Se l’azione delle mamme ha avuto successo, è stato anche perché si sono mantenute distanti da strumentalizzazioni politiche. Perché, se all’inizio c’era l’omertà più assoluta, poi c’è chi ha cercato di cavalcare la vicenda», spiega Giuliano, 53 anni, di cui 22 vissuti a Lonigo, oggi residente a Montagnana (Pd). «La contaminazione nel sangue di mio figlio – continua – è relativamente bassa, andiamo dai 30 ai 70 nanogrammi. Io sono attorno ai cento. I ragazzi al di sotto dei quindici anni sono particolarmente vulnerabili agli effetti di queste sostanze: molti soffrono di tiroiditi e ci sono bambini già con problemi di colesterolo».

«Nel 2017 partecipai al primo incontro pubblico organizzato nel mio comune sugli effetti delle Pfas; seppi lì che il nostro territorio era contaminato e ne rimasi sconvolta. Com’era possibile che nessuno ci avesse detto niente? Lì capii che se vogliamo proteggerci e proteggere i nostri figli, dobbiamo farlo da soli – riprende Michela -. Da allora la mia vita è cambiata completamente. I miei giorni trascorrono fra studiare documenti, scrivere alle Istituzioni, rispondere ai giornalisti, fare sopralluoghi, intervenire a conferenze, partecipare alle udienze».

Attraverso l’acqua di irrigazione, le Pfas hanno ammorbato anche la terra e, di conseguenza, anche gli alimenti. «Mio figlio più piccolo, 23 anni, al primo screening aveva 75 nanogrammi (ora è diminuito, ndr), mia figlia, 24 anni, ne ha 85 – dice ancora Cristina -. Io 109, mio marito 122. Dopo il prelievo a mio figlio, andai con lui a colloquio con i sanitari, che gli consigliarono di migliorare la propria alimentazione, aumentando il consumo di frutta e verdura. Mio marito, che mangia molta frutta e verdura, ha i valori più alti. Come si fa a non sapere che i prodotti della terra sono i più contaminati?» «All’inizio le mie figlie mi dicevano: basta, sei fissata. Però la più piccola, 14 anni, che ho spesso portato con me agli incontri, ha scelto l’indirizzo chimico alle superiori. Sarà un caso? Noi scherziamo sul fatto che lei troverà le molecole alternative alle Pfas», afferma Michela. «La nostra azione vuole anche essere un monito. Non si può fare quello che si vuole ai danni delle persone. E, d’altra parte, come cittadini dobbiamo agire. Il mio impegno è gravoso, ma pensare che sto facendo qualcosa, mi aiuta a tacitare la rabbia che mi prende quando penso che i miei figli potrebbero ammalarsi. Amo il mio paese, ma voglio che i miei figli vivano nell’ambiente più sano possibile, e non è Lonigo», conclude Cristina.

PERCHÉ FA COSÌ MALE

Può causare tumori e altre gravi patologie

La vicenda delle Pfas si trascina dagli anni Settanta, ma la scoperta ufficiale di sostanze perfluoroalchiliche negli acquedotti risale al 2013. La molecola più diffusa, la Pfoa (acidi perfluoroottanoici), nel 2009 è stata dichiarata “sostanze inquinante resistente” dalla Convenzione di Stoccolma e, nel 2017, la Commissione Europea ne ha accertato i rischi inaccettabili per ambiente e salute, perché altera il sistema ormonale, aumentando il rischio di tumori a tiroide, rene, seno e testicoli, cardiopatia ischemica, morbo di Alzheimer e malattie correlate al diabete. Gli sversamenti di tali sostanze – secondo la Relazione dei Carabinieri di Treviso, che ha dato il via all’indagine da parte della Procura – sarebbero imputabili ad un’azienda di Trissino (Vi). Il Movimento delle Mamme No Pfas ha contribuito a diffondere l’allarme su quello che è considerato il più grande inquinamento da Pfas in Europa.

© 2022 Romina Gobbo 

pubblicato su Avvenire - Noi in famiglia - pag. VII Ambiente - domenica 13 marzo 2022

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