Il collega Brent Renaud muore ucciso da colpi d’armi da fuoco mentre fa il suo lavoro, e il mondo scopre che non ci sono solo i giornalisti da tastiera, con il sedere al coperto e il paracadute, ma anche quelli che vivono trovandosi quotidianamente le notizie, per poi vendere i servizi a qualche testata. Anzi, forse ormai questi secondi sono numericamente di più dei primi. Solo il Sindacato non se n’è accorto, perché dovrebbe buttare al vento anni di contrattazione collettiva e ricominciare da capo.
I giornalisti freelance vivono difficoltà inimmaginabili per i primi. Chissà se i redattori ogni tanto si chiedono di cosa campano i loro collaboratori. No, non lo fanno.
Dunque, dicevo, difficoltà inimmaginabili. Per esempio, ormai nessuna assicurazione ti copre se parti per una zona di guerra. Ma ci sono questioni anche più banali. Se non riesci a vendere qualche servizio, non rientri neppure dalle spese. E lavorare in aree di guerra/crisi costa assai. Perché servono autisti, interpreti, fixer e, a volte, guardie del corpo.
Eppure, nonostante le fatiche, ci sono giornalisti che continuano a partire per documentare. Si chiama passione. A volte si paga in termini di reddito (sembra un ossimoro), si fatica ad arrivare a fine mese (andiamo a vedere le denunce dei redditi dei giornalisti freelance italiani), a volte si paga con la vita. E, com’è successo con Brent, dal quale il NYT ha preso le distanze, sottolineando che in passato aveva collaborato con loro, ma ora non più, il freelance sarà sempre uno che nessun giornale ha inviato.
Rip #BrentRenaud
#rominagobbonews
© 2022 Romina Gobbo pubblicato domenica 13 marzo 2022 su LinkedIn e Facebook