In questi giorni si è aperto il dibattito se sia lecito oppure no inviare armi in #Ucraina .
Mentre di primo acchito nessuno era stato sfiorato dal dubbio, mano a mano che i giorni passano e la #guerra (ohibò) miete vittime (anche donne e bambini, ohibò), ci si domanda se non sarebbe stato meglio non farlo, invocando anche l’art. 11 della Costituzione italiana, che dice che “l’Italia ripudia la #guerra“.
A parte che ragionare sul passato è tempo perso. Quello che però mai nessuno ricorda è che dietro la fabbricazione delle #armi ci sono persone, e non poche. Le fabbriche di armi non falliscono mai perché la richiesta è sempre alta e, per chi vi lavora, è un posto più sicuro di quelli statali. il distretto industriale bresciano si basa anche sulla fabbricazione delle armi. Potremmo chiedere a quelle persone che cosa ne pensano dello smettere la produzione di armi. È un po’ come quando ci accaniamo contro la burocrazia. Tutti sono d’accordo che per ogni stupidaggine riempire pile di scartoffie è una gran rottura di scatole. Ma, se non vogliamo la burocrazia, dobbiamo licenziare i burocrati, che sono funzionari della pubblica amministrazione, e sono tanti.
Allora, se non vogliamo le fabbriche di armi, dobbiamo o licenziare il personale, o riconvertire le fabbriche. E non parlo solo dell’Italia. Chissà quanti milioni di persone lavorano nell’industria bellica nel mondo. Sempre florida. Pensiamo alle atomiche. Probabilmente ne basterebbero 2 per riportare il mondo all’età della pietra. E, invece, quante ce ne sono? Si continua a fabbricare. Quanti lavoratori? Perché poi ci sono i terzisti. Quanti realizzano pezzi di ricambio? Quanti tecnici di occupano della manutenzione? (Speriamo tanti!).
E, quindi, anime belle, rassegniamoci. C’è solo da sperare che la #guerra in #Ucraina (sperando che finisca presto) metta a tacere per un po’ la sete di profitti. Il resto sono chiacchiere.
© 2022 Romina Gobbo pubblicato domenica 20 marzo 2022 su LinkedIn e Facebook