Un conflitto tra popoli fratelli

Don Sergio Mercanzin, fondatore di Russia Ecumenica: «Scelta incomprensibile. Nessuno è innocente, tranne le vittime»

«Nel vedere in guerra russi e ucraini, due popoli che amo da quasi cinquant’anni e ai quali ho dedicato il mio sacerdozio, mi sento straziato. Non c’è mai stata una divisione netta tra russi e ucraini, perché sono due popoli mescolati, si capiscono linguisticamente, sono entrambi in grandissima maggioranza ortodossi. Ciò che li unisce è tanto. Quella di oggi è una divisione forzata, imposta, criminale». Il padovano don Sergio Mercanzin conosce bene i due Paesi in guerra per aver fondato nel 1976 a Roma il Centro Russia Ecumenica con l’obiettivo di aiutare i profughi scappati dall’Est, e far conoscere la situazione dei cristiani in quei Paesi. Oggi Russia Ecumenica si pone come un ponte fra Oriente e Occidente, fra credenti dell’Est e credenti dell’Ovest. «A suo tempo avevo previsto l’implosione dell’Urss. C’erano delle crepe evidenti tra le 15 Repubbliche che la costituivano. Quando, poi, successe, mi dissi: “È un miracolo che non ci siano state vittime”. Invece la guerra è arrivata adesso, inaspettata, proprio tra i due Paesi più simili tra loro. Non dimentichiamo che la Russia è nata a Kiev. Bombardare Kiev vuol dire bombardare la culla del cristianesimo slavo». Anche per don Sergio l’aggressione all’Ucraina da parte del presidente Vladimir Putin resta inspiegabile. «Io penso che Putin sia stato provocato, ma ha sbagliato a rispondere alle provocazioni e ha perso tutto. Era un leader riconosciuto, oggi lo chiamano “macellaio”. Voleva dimostrare che l’Ucraina è una propaggine della Russia e poteva annettersela in qualsiasi momento senza fatica, invece l’Ucraina

resiste. Voleva dimostrare che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky era solo un comico, invece è diventato un padre della patria. Putin è l’aggressore, è un dittatore, ha cambiato la Costituzione per poter “regnare” fino al 2036, ha tolto di mezzo gli oppositori. Tuttavia, c’è un concorso di colpa a gradi diversi. Nessuno è innocente, tranne naturalmente le vittime».

Quanto c’entra la religione con tutto questo? «Molto, purtroppo. La guerra è stata una mossa politica, ma anche religiosa. Nell’ortodossia la relazione tra trono e altare è chiamata “sinfonia”. Il più delle volte, invece, è una “distonia”, perché è il potere politico che ha il sopravvento e sfrutta la Chiesa a suo vantaggio. Con la scissione dal Patriarcato di Mosca di parte della Chiesa ortodossa ucraina, la Chiesa ortodossa russa rischia di perdere la maggior parte delle proprie parrocchie, dei monasteri, degli immobili, e anche delle vocazioni. Kirill, che non per niente ha il titolo di patriarca di Mosca e di tutte le Russie, oggi si ritrova a capo di una Chiesa ortodossa russa quasi dimezzata, e isolato da quasi tutti i leader religiosi del mondo». E questo rendeva comprensibile il fatto che volesse incontrare papa Francesco, che finora lo considerava un interlocutore essenziale. A Mosca però non è piaciuto che nell’intervista di qualche giorno fa al Corriere della Sera, il Papa abbia definito Kirill “chierichetto di Stato”. «Credo che il patriarca sia offeso e non voglia più incontrarlo. E pensare che io avrei suggerito Bari, dove riposa il corpo di san Nicola, di cui i russi sono profondamente devoti. In tre milioni sono andati ad onorarne un frammento di reliquia a Mosca e a San Pietroburgo, nel 2017». E con Putin sarà possibile un incontro? «Il Papa vuole andare a Mosca, perché vuole incontrare chi ha dichiarato la guerra. Ma ci andrà solo se Putin deciderà di riceverlo e di parlare di una possibile pace. Questa per il presidente russo potrebbe essere una via di uscita onorevole».

C’è ancora speranza? «Naturalmente, quello che mi auguro è che scoppi la pace, ma non ci può essere pace tra i popoli se non c’è pace tra le religioni, come diceva Hans Kung. Prima di questa distanza fra papa Francesco e Kirill, c’è il solco tra la Chiesa ortodossa ucraina autocefala legata al Patriarcato di Costantinopoli e quella ucraina rimasta fedele al Patriarcato di Mosca. I patriarchi hanno cominciato perfino a scomunicarsi l’uno con l’altro, comunque non si nominano più nella liturgia, cosa gravissima nella tradizione ortodossa. Pessimo esempio per dei cristiani. Sogno un incontro in Vaticano con tutti i protagonisti coinvolti: America, Nato, Russia, Unione Europea. Il Papa se lo meriterebbe perché è l’unico che ha sempre invocato la pace. Purtroppo ha a che fare con dei ‘bulli’, ma con la bomba atomica».

© 2022 Romina Gobbo 

pubblicato su Avvenire - Primo Piano - sabato 7 maggio 2022

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