Silvia Budri. Una donna di speranza – Il bene nelle pieghe della vita

«Toc, toc, scusate sono un’attrice che, causa pandemia, non sta lavorando». L’unica volta che Silvia Budri si è auto definita è quando, nel 2020, per compensare i mancati introiti, ha scelto di re-inventarsi venditrice porta a porta di articoli religiosi. «Commerciavo di tutto: crocifissi, immaginette sacre, talari, bottigliette per l’acqua benedetta… Mi presentavo con un gran sorriso e tutti hanno acquistato. Mi sono divertita e ho fatto incontri interessanti. Quando decido di fare un lavoro, lo faccio sempre con il cuore. Allora le porte si aprono». Un annetto e poi di porta se n’è aperta un’altra, quella della chiesa di San Giovanni Battista all’Autostrada, di cui è rettore don Vincenzo Arnone. Ubicata a fianco dell’Autostrada del Sole, nella zona di sosta denominata “Firenze Nord”, questa chiesa è concepita per offrire una sosta spirituale ai viaggiatori che percorrono l’Italia da nord e sud, e Silvia ne è la guardiana e anche un po’ l’anima. «Sono approdata nel mio luogo di pace. Curo questa chiesa come fosse casa mia. Nonno Giovanni, classe 1890, quando nel 1960 vide che iniziavano i lavori, era perplesso per la forma. Poi invece diventò il suo punto di riferimento. Se io ora sono qui, credo che c’entri anche lui da lassù».

Questo lavoro le ha anche permesso di tornare a casa, a Campi Bisenzio (Fi), dove ora vive con il padre Ivo. Completano la famiglia il fratello Andrea e il nipote Massimiliano. Mamma Bruna è mancata nel 2009. Al nostro appuntamento, lei arriva in sella alla sua bicicletta, il vento tra i capelli, in mano un rametto di rosmarino. Attrice, venditrice porta a porta, adesso guardiana della chiesa. Silvia, che cosa fai nella vita? «Intanto, pedalo. Vivo il momento e lo faccio col sorriso, anche nei periodi bui, perché penso che il bene e l’amore siano contagiosi. Silvia può fare tutto, purché Silvia stia bene». Anche invitare papa Francesco alla chiesa dell’Autostrada.

Silvia Budri alla sua scrivania nella chiesa dell’Autostrada (credits Romina Gobbo)

Silvia Budri è l’attrice che non ti aspetti. E lei di sicuro non si aspetta che la sua esperienza di vita meriti tanta attenzione. «Amo di più ascoltare che raccontarmi. Preferirei fare io le domande a te». E invece, almeno per stavolta, tocca a me. Il tempo di un caffè e la conversazione ha inizio. Segue pieghe inimmaginate, perché questa donna di 55 anni, che si dice riservata, in realtà, toccando i tasti giusti, si trasforma in un fiume in piena. «Ero una bambina molto fantasiosa, ma amavo anche i miei momenti di solitudine, come adesso». È bella Silvia, di quella bellezza che ti porta direttamente all’anima. Così quasi non ti sorprendi quando ti dice che ha considerato un regalo il fatto di ricominciare ad interpretare un film il 21 aprile di quest’anno, lo stesso giorno in cui 23 anni fa morì sua mamma. Il film, prossimamente in uscita, è “Cento Cuori”, un progetto delle Suore Apostole del Sacro Cuore di Gesù, per diffondere il pensiero della loro fondatrice, sceneggiatura e regia di Paolo Damosso, produzione Fogo Multimedia. «Mamma è morta a soli 65 anni. È stato ed è un grande dolore, avevamo un rapporto speciale, simbiotico. Quando proprio il 21 aprile per la prima volta ho indossato i panni di madre Clelia Merloni, è stata una grande emozione, anche perché da qualche anno mi ero allontanata dalle scene. Questo è stato il mio rientro. Quando sono arrivata al convento, le sorelle mi hanno accolta abbracciandomi, una per una, e all’orecchio mi sussurravano: ben tornata madre Clelia. Ho ancora i brividi. Mia mamma non era molto credente, ma poco prima di morire mi confidò di essere tanto devota al Sacro Cuore di Gesù. Questo ruolo è frutto di un miracolo».

Definizione o no, Silvia Budri è un’attrice di successo. Ha interpretato tante eroine delle tragedie greche (Baccanti, Medea, Oreste…), ma anche tante figure religiose, compresa la Madonna, in teatro, al cinema, in televisione. «Quando devo spiegare come faccio ad interpretare, sono sempre in difficoltà, perché io e la tecnica non andiamo molto d’accordo. Io vado di istinto, certo aiutata dal regista, ma devo sentire il personaggio di pancia. Prendiamo madre Clelia. Io di solito attingo alle mie esperienze di vita, però di sicuro non sono mai stata una santa. Allora ho riflettuto. L’essere umano è composto da mille sfaccettature, pertanto posso riuscire ad interpretare la madre, cercando la sfaccettatura di Silvia santa. Ci sarà da qualche parte. Ed è questo che ho fatto, ma solo dopo essermi affidata a lei. Le ho parlato, a viso aperto. “Io ti ospito in me, voglio essere lo strumento che aiuterà la gente a conoscerti, e ti ringrazio per avermi scelta per essere te”».

Forse la caratteristica comune che si può ritrovare nei ruoli interpretati da Silvia, così variegati, è la forza spirituale dei suoi personaggi. «Nelle situazioni spirituali mi trovo a mio agio. Io ricerco la spiritualità. Cerco anche di pregare tutti i giorni, ma non sono molto brava. Esiste un libretto di istruzioni che insegna a pregare? Non lo so. La mia preghiera allora è: “Gesù pensaci tu, perché io non so pregare troppo bene”. Lui, quando sente che mi allontano un po’, mi riacchiappa, di solito lo fa mandandomi lavori significativi, e io sono felice di essere riacchiappata».

© 2022 Testo e foto di Romina Gobbo 

pubblicato su Credere - domenica 10 luglio 2022 - pagg. 20, 21, 22, 23
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