Noi, coniugi che spieghiamo alle suore come andare avanti

«Non misuro la mia vocazione al matrimonio dai “frassinetini” che non sono venuti». In tempi in cui anche l’avere o non avere figli, è diventata questione ideologica, la frase scherzosa di Alberto Frassineti riporta alla giusta dimensione, all’accettazione della volontà di Dio. «Penso che la vocazione – qualunque essa sia – valga in sé. Il Signore mi ha dato altre possibilità per esprimere quella che può essere una paternità». Accanto a lui, la moglie Eva Gullo, aggiunge: «I figli non sono venuti. Da allora abbiamo lasciato aperto l’interrogativo: che cos’è la nostra fecondità? Sicuramente, la fecondità di una famiglia che non ha figli propri, ma che ne ha molti tra le persone che incontra». Alberto, 63 anni, romagnolo, ed Eva, 50, calabrese di nascita, emiliana di adozione, entrambi appartenenti al Movimento dei Focolari, sono coppia nella vita, ma anche nel lavoro. Un lavoro che non ha concorrenza, quantomeno nel mondo laico. Un lavoro da svolgere “in punta di piedi”. «Ci piace chiamare così il nostro sodalizio professionale, perché noi operiamo principalmente con le congregazioni religiose e con gli Istituti monastici, in momenti forti per la loro vita di comunità, che richiedono delicatezza», dice Eva.

Formazione umanistico-sociologica lei, laurea in ingegneria nucleare ed esperienza nel settore metalmeccanico lui, i coniugi Frassineti hanno lasciato le rispettive carriere per dedicarsi a tempo pieno all’attività di consulenza e accompagnamento di istituti di vita consacrata nei percorsi di ridisegno, oltre che di moderatori/facilitatori di Capitoli Generali, provinciali, assemblee. «Avevo 41 anni e una brillante carriera come vice direttore di una grande azienda, ma andavo a letto la sera chiedendomi se stavo spendendo bene la mia vita. Detto fatto. Il giorno del mio compleanno, il 2 agosto 2000, mi sono licenziato per dedicarmi, da un lato, alla consulenza e, dall’altro, all’allora nascente progetto di Economia di comunione del Movimento dei Focolari. Sei anni dopo, nacque il Polo italiano delle aziende di economia di comunione. Chiara Lubich (fondatrice del Movimento, ndr) ci ingaggiò in quindici. Nello stesso tempo, insieme ad altri amici, abbiamo fondato una società di consulenza: uno dei cinque soci era Eva.

Lì è iniziata la nostra storia professionale comune, fatta di grandi litigi e di sostanziose e giustificate incomprensioni. Ad un certo punto, le ho detto: fidanziamoci se, fra un paio d’anni saremo sposati, bene, sennò io me ne vado dalla società», ricorda Alberto. Il 2 agosto 2008 Alberto ed Eva si sono sposati nel santuario di Maria Theotókos a Loppiano (Fi). «La cittadella è il luogo della nostra identità come cittadini del mondo che vogliono costruire un mondo unito basato sull’amore», dice Alberto. «E poi – aggiunge Eva – c’era l’idea di affidare la nostra unione a Maria, madre di Dio. Costruire è possibile solo se lei è in mezzo a noi». «Ci siamo quindi chiesti se il nostro essere coppia poteva portare dei benefici anche nel lavoro. È possibile, ma serve un grande equilibrio, che va alimentato quotidianamente. È un cammino molto dinamico ed estremamente in linea con i nostri valori. Una dimensione che ci riporta sempre al dono del matrimonio», afferma Alberto. Nel tempo, proprio questo essere coppia è diventata anche professionalmente la carta vincente. «Ci sono lavori che non possiamo non fare insieme – spiega Alberto -, perché servono due visioni. Io vedo più la parte organizzativa, strategica, metodologica. Eva quella relazionale, del clima, dei conflitti. Senza di lei, io non potrei avanzare di mezzo metro. E lei, senza di me, aprirebbe un dialogo con le persone, ma poi non saprebbe quali passi fare. È lì che entra in campo la sinergia tra le due diverse competenze, esperienze e sensibilità, sempre nel rispetto reciproco e, naturalmente, nella dialettica, che resta fondamentale per riuscire a trovare strade, che non siano mie o di Eva, ma che speriamo siano ispirazione dello Spirito. Questo significa tirare fuori la verità che ognuno ha dentro, con umiltà metterla in gioco e, se necessario, modificarla. I clienti ci dicono che la nostra capacità di ricomporre le tensioni e recuperare l’armonia, è per loro esempio». «Non c’è dubbio. Siamo diversi, ma è un punto di forza, perché la diversità accolta, riconciliata ogni giorno, è anche un valore nella relazione professionale. Questa visione così complementare – intanto uomo-donna, oltre che con competenze diverse – diventa un metodo sul vivo che portiamo nei vari percorsi formativi e di accompagnamento», dice Eva.

«Le comunità religiose vivono contrazioni numeriche importanti. Forse è una delle cose con cui il Signore ci dice che oggi ci dobbiamo confrontare – continua Alberto -. Noi cerchiamo di facilitare questi passaggi. Non diamo soluzioni, offriamo degli strumenti di comprensione, in modo da co-costruire insieme possibili strade. D’altro canto, anche noi riceviamo molto dai carismi con cui lavoriamo. Abbiamo imparato che la complessità non si riduce, non si semplifica, ma c’è un solo modo per attraversarla e vedere un orizzonte diverso, starci dentro. Riportato nella vita familiare, questo ci ha aiutato tantissimo a vivere anche situazioni difficili con pace e serenità». «Quegli stessi carismi ci hanno sostenuto quando Alberto è stato colpito da un tumore. Quando ti senti messa al muro dal dolore, sapere che in tanti pregano con te, è una forza immensa. Penso davvero che Alberto sia stato miracolato dalla preghiera fatta assieme da quella che noi chiamiamo la nostra famiglia allargata», conclude Eva.

© 2023 Romina Gobbo 

pubblicato su Avvenire - domenica 22 gennaio 2023 - pag.AA06


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