«La prima caratteristica di un bravo scienziato è la creatività. Noi dobbiamo inventare qualcosa di nuovo. Dopo, bisogna essere così “ferocemente” seri e logici da dimostrare quanto è vero. Il primo passo è l’intuizione. Anche se può sembrare che ciò che stai ipotizzando sia completamente fuori asse, perché non provarci? A quel punto servono una revisione logica e delle prove. A me è
sempre successo così». Parola di Maria Cristina Facchini, direttrice dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche, e neopresidente della Società Italiana per le Scienze del Clima. Laurea in chimica, la dottoressa Facchini ha iniziato la sua attività negli anni ‘80 studiando la nebbia in Pianura Padana.
«Le goccioline di nube allora erano significative per l’inquinamento atmosferico, oggi lo sono per il clima. Perché gli aerosol e le nubi sono considerati i fattori più incerti nella stima dei cambiamenti globali». Successivamente, il clima è diventato il protagonista del lavoro di Facchini, prima come ricercatrice oggi come direttrice di un Istituto con circa 200 dipendenti, meno della metà donne, sparsi nelle sette sedi italiane, da Lamezia Terme a Torino. In una materia come quella relativa al clima e, più in generale, all’ambiente, diventa fondamentale l’interdisciplinarietà. «Servono competenze le più
varie, perché l’osservazione oggi è così complessa che nessuno può conoscere tutti gli aspetti – spiega –. Per esempio, per studiare gli effetti che l’atmosfera e la sua composizione hanno sulla salute dell’uomo e degli ecosistemi, servono medici, biologi, e altro ancora. Il livello di dettaglio necessario per poter predire bene l’atmosfera è enorme, pertanto c’è bisogno di macchine con una capacità straordinaria, il cui utilizzo richiede figure molto diverse, per esempio esperti di calcolo computazionale, cioè matematici o ingegneri che magari non sanno niente di atmosfera. Pensiamo a coloro che
devono archiviare le enormi quantità di dati che prendiamo attraverso i satelliti. Sono sfide che quando ho cominciato io non esistevano. Ma a me è sempre venuto facile lavorare in maniera interdisciplinare. La caratteristica più vincente della mia carriera è la capacità con cui mi sono approcciata a tutto il mondo».
La Cop27 ha garantito altro futuro ai combustibili fossili; nessun avanzamento, invece, per quanto attiene la lotta alle emissioni. Quanto c’è da preoccuparsi?
«Direi tanto – sottolinea Facchini –. La crisi climatica di oggi, evidente a tutti, non è ancora un elemento sufficiente per convincerci ad investire fondi in infrastrutture essenziali per poter utilizzare le energie alternative. Pensiamo alle comunità energetiche di cui si parla tanto. Che cosa ci vorrebbe per farle dal punto di vista tecnologico? Niente. Invece, continuiamo a spremere quelle poche risorse rimaste, pur sapendo che non potranno garantirci nulla. Sono negativa perché sembra che contro l’industria del petrolio e affini nulla sia possibile, finché sarà troppo tardi per il pianeta. Si tratta di un problema di coscienza umana, generazionale, che è drammaticamente ignorato».
Le chiediamo quali obiettivi perseguirà da neopresidente della Società Italiana per le Scienze del Clima.
«Innanzitutto c’è da dire che si tratta di un incarico di continuità rispetto alle precedenti presidenze, perché sono già stati presi degli impegni anche a livello di esposizione politica, con i quali si chiede di intervenire sui problemi climatici – evidenzia –. Siamo un centinaio di iscritti, più alcuni soci sostenitori, cercheremo di espanderci. Quello che mi ha colpito di più in maniera negativa della comunicazione sul clima è stato il lasciare spazio, da parte di alcuni giornalisti, ai clima-scettici. Il 97% degli scienziati dice che il riscaldamento globale è reale. Pertanto, non si può dare lo stesso spazio a cose palesemente credibili e ad altre palesemente incredibili. Questo è il motivo per il quale la Società si impegnerà anche sul fronte della comunicazione. Io resterò in carica due anni, affiancata dalla collega Paola Mercogliano, che mi succederà come presidente. Il meccanismo è consolidato e affidabile: il futuro presidente affianca quello in carica. Inoltre, in questo caso siamo due donne, e in un ambiente dove le donne sono poche, è un buon segno».
© 2023 Romina Gobbo pubblicato su Avvenire - mercoledì 1 febbraio 2023 - pag. 3