«Senza fede non si può nulla»

«Qui in Sud Sudan la riconciliazione è un desiderio profondo, ma resta una sfida immane, perché si scontra con la mentalità dominante che invoca vendetta. Sono necessari tanta forza d’animo e tanto incoraggiamento per avviare un cambiamento che promuova quella mitezza capace di non rispondere alla violenza con violenza. Papa Francesco è l’icona di questo cambiamento. Il popolo lo aspetta con molta gioia, lo riconosce come l’unica persona che può parlare ai leader locali con autorità e con
franchezza. È anche l’unico che può donare la forza del perdono e portare una parola di speranza nel caos politico, economico e sociale che il Paese sta vivendo». Riassume così, suor Maria Martinelli, trentina, medico chirurgo, provinciale delle missionarie comboniane nel Paese dell’Africa
occidentale, le aspettative di un popolo alla vigilia dalla visita del Papa.

Bergoglio sarà in Sud Sudan da oggi a domenica, dopo essersi recato nella Repubblica Democratica del Congo. L’attesa non è solo delle comunità cristiane, ma di tutti. Circa 6,2 milioni di sud sudanesi sono cattolici (il 37,2% della popolazione nazionale, composta da oltre 16 milioni di persone), poi ci sono la Chiesa anglicana, la seconda nel Paese dal punto di vista numerico, quella presbiteriana e molte altre comunità di impronta riformata evangelica. I musulmani rappresentano una minoranza. La religione africana tradizionale continua ad essere seguita da una cospicua parte della popolazione. Ecco perché è molto importante che, assieme a papa Francesco, ci siano il primate della Chiesa anglicana,
Justin Welby, e il moderatore dell’assemblea generale della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields, insieme
per un “pellegrinaggio di riconciliazione e di pace”. «Qui si lavora molto sulla riconciliazione – dice suor Maria –, non solo come comunità religiose, ma anche a livello governativo».

Ma rielaborare trent’anni di guerra civile e la delusione per una raggiunta indipendenza che di fatto non ha portato la pace, non è per niente facile. «Il 2011 è stato un anno bellissimo, pieno di speranza, di entusiasmo, di fantasia, ma quel clima è durato poco. Dal 15 dicembre 2013 i conflitti sono ripresi, con fasi alterne ma, mentre in capitale il pericolo oggi è la delinquenza comune, nelle città periferiche l’instabilità permane. Muoversi è pericoloso. Le strade sono insicure. Ci sono queste cosiddette lotte tribali, ma che nascondono interessi di altro tipo. Non dimentichiamo che il Sud Sudan è ricco di petrolio», ricorda suor Maria. L’instabilità è dovuta soprattutto al lungo conflitto tra il presidente Salva Kiir, appartenente all’etnia più numerosa, i dinka, e il suo vice Riek Machar, di etnia nuer. Nel 2019 i due furono accolti in Vaticano da papa Francesco, che baciò loro i piedi implorando la pace. «Il futuro dipenderà dalla loro volontà di mettersi a tavolino a discutere per il bene della popolazione. Intanto, devono stabilire una data per le elezioni, che vengono continuamente rimandate. Poi il governo dovrà davvero impegnarsi per la pace, anche nelle periferie, e anche per l’ambiente: il Sud Sudan soffre terribilmente il cambiamento climatico. La regione dell’Upper Nile da due anni è totalmente allagata, la gente deve sfollare, perché non può praticare l’agricoltura. Tanto altro terreno è sottratto alle colture dagli impianti petroliferi. Non parliamo, poi, dell’immondizia, che soffoca la capitale Yuba».

Suor Maria è in Sud Sudan da quattordici anni, e in capitale da cinque. Nel Paese le comboniane sono 34, suddivise in sette comunità. Si occupano di educazione, soprattutto rivolta alle ragazze dei villaggi, gestiscono un proprio ospedale e un grosso centro sociale per i malati di Aids, che continua a flagellare il Paese. Sono, quindi, ancora molte le emergenze, di cui papa Francesco sarà informato. «Chiediamo la sua benedizione, e che parli ai leader locali che oggi sono nemici e preghiamo che riesca a toccare loro il cuore affinché decidano di dare una svolta a questo Paese, in modo tale che ci sia sviluppo, e una democrazia un po’ più democratica. E chiediamo l’incoraggiamento per andare avanti nella nostra fede perché senza la fede non si può nulla».

© 2023 Romina Gobbo 

pubblicato su Avvenire - venerdì 3 febbraio 2023 - pag. 5 
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